Recensione: Atlantis: The New Beginning

Di Andrea Poletti - 18 Novembre 2015 - 17:44
Atlantis: The New Beginning
Band: Lost Soul
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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80

“La pia finzione secondo la quale il male non esiste lo rende soltanto vago, enorme e minaccioso.“

Aleister Crowley

 

Da sempre esistono sostanzialmente due scuole di pensiero per suonare death metal: una più lineare e attaccata alle origini dove si rischia spesso e volentieri di partorire abomini con riff superflui e snaturati, l’altra tendenzialmente tecnica ed infarcita di qualsivoglia contaminazione caleidoscopica. Due macroscuole di pensiero che riescono bene o male a scindere il popolo del metallo della morte tra tradizionalisti e evoluzionisti, conservatori e progressisti, sfruttatori ed innovatori. Detto ciò, senza entrare nel merito della stretta storia socio-culturale della Polonia, è possibile identificare all’interno di questa vasta nazione una folta schiera di band che fanno parte a testa alta dei progressisti; band che, come il proprio paese, hanno subito contaminazioni e difficili vicissitudini culturali determinate da invasioni musicali provenienti da questo o quel paese. Molti nomi noti oggi possono essere messi all’interno di quelli che devono essere considerati imprescindibili per comprendere il metal moderno: Behemoth, Decapitated, Vader, Hate, Mgla ed ultimi ma non per importanza i Lost Soul sono padrini di quel metal (death e/o black) che guarda si le tradizioni ma che butta anche l’occhio oltre, molto più in la della classica linea di confine che delimita il classico sound made in Europe. I protagonisti di questa recensione sono meno conosciuti, meno businness-oriented rispetto a certi altri nomi altisonanti provenienti dalla Polonia ma non per questo privi di inventiva e fama. Una band che ha percorso la propria strada costantemente in discesa, riuscendo a racimolare un discreto successo con il penultimo Immerse into Infinity e portando il proprio sound oltre l’inimmaginabile, oltre quelle che potevano essere le potenzialità espresse su Chaostream (2005) che le legavano troppo ad un citazionismo poco carismatico. Sono passati ben sei anni dall’ultimo nato e oggi, dopo una snervante attesa, finalmente Atlantis:The New Beginning è sul mercato. Cosa aspettarsi dopo un lasso di tempo così ampio? Di tutto e di più, se dovessi chiudere la recensione qui potrei sintetizzare questo quinto capitolo come la summa di un’intera carriera, come la quinta essenza del death metal polacco più anticonvenzionale.

 

In una recente intervista il master-mind Jacek ha spiegato quello che è il concept dietro l’album attraverso queste parole: “Indubbiamente ho preso spunto dall’opera omonima di Crowley dove il vero significato viene celato alle apparenze per portare la magia al vero fruitore. Dopo milioni di anni la stirpe di Atlantide è ancora viva e cerca di colonizzare i pianti dentro e fuori dal sistema solare per raggiungere il sole. Ogni pianeta è una canzone, ogni canzone è un tema antireligioso che si pone indirettamente a contatto con i dieci comandamenti. Oserei definirli dieci anticomandamenti che possono e devono essere analizzati a livello testuale e visivo nell’artwork del disco…” Non credo ci sia da aggiungere nient’altro a tale affermazione dove un uomo che ha dedicato la sua vita ad un progetto come i Lost Soul, vede oggi il culmine di una carriera attraverso un concept fantascientifico si, ma con al suo interno molteplici stratificazione metaforiche e culturali che amplificano ancora di più, se ce ne fosse bisogno lo spettro visivo del gruppo. La storia che lega Crowley al metal è infinita, ancora di più lo è in questo caso, dove non solo una canzone, un testo o qualsivoglia viene citato o preso a modello, ma bensì un intero album che procede passo dopo passo alla concretizzazione di un’ora di musica piena di ogni ben di satana.

 

Non è possibile fare un track by track, insensato scindere il groove di Aqueos Ammonia dai cori di Unicornis piuttosto che dalle voci pulite di Perihelion o dalla chiusura da parte della Wroclaw Philharmonic Orchestra sulla Titletrack. Ogni canzone è legata fortemente alla successiva, minuti su minuti che si susseguono per portare nuovamente in vita il mito dell’isola affondata nell’oceano Atlantico attraverso un concept moderno ed infallibile. La rivoluzione in casa Lost Soul è ancora più tangibile rispetto al passato attraverso sperimentazioni di vocalizzi mai usati in precedenza, parti melodiche ed incastri corali di fortissimo impatto sull’economia globale del disco. Hanno sempre detto di preferire la rivoluzione a dispetto dell’evoluzione, in questo caso è più evidente quanto i sei anni di distanza si siano abbattuti sul risultato finale. Una tempesta di tuoni e fulmini in formato sonoro che porta un groove radicato nel profondo colmo però sino al midollo del tecnicismo che contraddistingue la band sin dagli albori. Non c’è solo death metal sparato a mille all’ora, è la componente black che viene diluita pian piano lungo le tracce a lasciare più a bocca aperta; Vastitas Borealis, Fasle Testimony e Frozen Volcano sono i tre esempi più lampanti lungo la tracklist dove un death-black arcigno e macchinoso si fonde alla perfezione con le aperture melodiche e gli assoli al fulmicotone. Pare che i nostri abbiano voluto non solo ampliare la tecnica, il groove e la componente epica ma che pure il lato più intransigente ed estremo del metal, quel black di matrice scandinava mai apparso in precedenza, viene sviscerato senza ripensamenti e vergogne.

Se come intuibile è la dinamicità uno degli aspetti migliori dell’intero disco è soprattutto merito dei singoli che in sono stati in grado di fornire una prestazione maiuscola e priva di sbavature. Ovviamente è il leader indiscusso Jacek a tenere le redini del carrozzone, padre padrone che lascia si libertà d’espressione ai suoi commilitoni mantenendo però sempre il classico sound figlio di anni di esperienza. Probabilmente è questo l’aspetto migliore di Atlantis: rimanere incollato al passato della band pur riuscendo ad andare oltre, ancora più di ogni limite posto precedentemente da questa o quella motivazione e/o causa.

 

Possiamo parlare di uno dei dischi top del 2015? Questo spetta ovviamente al singolo e al suo gusto personale, l’anno che si sta chiudendo ha avuto indiscutibilmente altissimi standard qualitativi ed i Lost Soul non sono da meno, tengono alto il livello tecnico stilistico del paese attraverso un album che piacerà a molti, moltissimi e che non mancherà di mietere vittime in sede live. Una mazzata di album a doppia faccia; se ascoltato con superficialità rischia i essere considerato come “il classico album tech” a dispetto di un orecchio più allenato che riuscirà sicuramente a trovare molteplici dettagli che innalzano il valore minuto dopo minuto. Un concept articolato, un cover artwork da brividi, una produzione dinamica ed organica; la conferma che questi anni sono stati utili per creare quello che ad oggi senza ombra di dubbio è il punto più alto di un’intera carriera. Se gli standard sono questi il futuro del metal polacco è in salita per chiunque desideri fare meglio o anche solo provare ad avvicinarsi, i detentori del trono sono avvisati.

 

 

 

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