Recensione: Atra Lumen

Di Daniele D'Adamo - 9 Aprile 2017 - 18:15
Atra Lumen
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2017
Nazione:
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75

Con un titolo del genere («luce nera»), i francesi Corpus Diavolis stabiliscono con decisione il mood del loro terzo album in carriera, “Atra Lumen”, appunto.

Umore cupo, buio, tetro. Il black metal proveniente d’oltralpe induce spesso e volentieri ad associare il paese d’origine al post-black ma, in questo caso, invece, trattasi di materia oscura, infernale, blasfema.

Black metal integralista e tenebroso, spinto con foga nelle braccia asfissianti della misantropia per fuggire dal più labile, tenue e speranzoso barlume di luce.

L’approccio dei Corpus Diavolis al black metal è totale nella sua raffigurazione di apocalittici antri infernali popolato solo di demoni, rifugi sotterranei nei quali le molecole si ammassano in forme di morte albina. Cieca. Come la furia che alimenta instancabilmente la musica di “Atra Lumen”. Il quartetto transalpino non spinge quasi mai a fondo il pedale dell’acceleratore, tranne che in rare occasioni (‘Thy Glorification’, ‘The Ardent Jewel of His Presence’), prediligendo al contrario l’utilizzo di tempi medi o, addirittura, lenti. Lo scavo della carne è assai doloroso, nell’ipnotico trapasso da ‘Revelations Before Dawn’ a ‘Sick Waters’. Esso avviene difatti con misurata lentezza, approfondendo all’inverosimile i tagli per penetrare in profondità. Sì, il black metal di “Atra Lumen” è principalmente profondo. Seppur scevro da elementi innovativi, il songwriting è curato sino all’ossessione. Ogni accordo, ogni nota, ogni suono è calcolato alla perfezione per essere lì, dove deve essere. Tant’è vero che, per rivelare in pieno la sua particolare qualità introspettiva, il disco esige di essere ascoltato per molte, molte ore; dimenticandosi di chi affronta un’opera simile con leggerezza e approssimazione.

Le song hanno quindi una struttura complessa, dissonante, lontana anni luce da quel che si definisce accattivante in senso stretto. Le poderose spire del suono di “Atra Lumen” non lasciano scampo: la loro pressione, a tratti, è insostenibile. Non tanto per l’energia di un sound comune possente, quanto per l’ottenebrazione della mente, l’obnubilazione del pensiero. I Corpus Diavolis costringono letteramnete chi ascolta a precipitare nella loro dimensione (‘L’Oeil Unique’).

Lo screaming delle linee vocali è il solito, così come il riffing e anche la sezione ritmica. Black metal puro e semplice, stilisticamente parlando. Arricchito da tastiere e pianoforti, sì, ma pur tuttavia foriero di sonorità alle quali ci si è fatta l’abitudine. Nell’insieme, però, i Corpus Diavolis riescono a plasmare qualcosa di proprio, di unico, di orrendamente singolare. Il loro marchio a fuoco, cioè. Il segno della dannazione, della fedeltà al nero, dell’accettazione dell’inversione dei dogmi. Il cielo non esiste più, si è rovesciato. Regna incontrastato il buio. Il vuoto.

“Atra Lumen” è un’opera per chi ha masticato a lungo il black metal. Non è per i neofiti: la sua ridetta complessità intrinseca lo rende sicuramente troppo ostico, per chi si affaccia novello dal balcone dell’Ade. Il che è un difetto oppure un pregio. Dipende dai punti di vista. Sicuramente i Corpus Diavolis, a parere di chi scrive, rendono meglio quando alzano l’asticella dei BPM entrando, così, nel Regno della trance da hyper-speed ma loro, evidentemente, non la pensano così.

Daniele “dani66” D’Adamo

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