Recensione: Autopsy

Di Fabio Vellata - 14 Febbraio 2014 - 0:01
Autopsy
Band: Danger Ego
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2013
Nazione:
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69

Non è un gruppo facile quello dei Danger Ego, band fiorentina attiva da ormai quasi un decennio che, forte di un recente deal con Atomic Stuff, ha da poco ridato alle stampe il proprio debut album “Autopsy”, originariamente uscito in forma autoprodotta giusto un paio di anni fa.

La loro, infatti, è una proposta fatta da numerose sfaccettature che ne rendono classificazione e termini di raffronto piuttosto ardui e spesso non del tutto calzanti. Un’evidente estrazione hard rock, tantissime derive psichedeliche, qualche riferimento post grunge / alternative ed una buona dose di stoner e sludge.
Ricetta, insomma, già di per se più che sufficiente nel rendere manifesto lo stile coriaceo e non propriamente lineare di cui il songrwriting del quintetto è intriso, ostaggio di infatuazioni per Audioslave, Black Sabbath, Faith No More, Kiss ed Alter Bridge, mescolate con un nervosismo di fondo tale da rendere ogni brano instabile e preda di continui e repentini cambi di direzione.
Un sound potente e corposo si erge su basi ritmiche irrequiete, sovrastato da atmosfere talora evocative e cadenze ben lungi dall’essere definite “speed”.
La voce, calda e profonda di Flavio Angelini – singer che immaginiamo devoto di Eddie Vedder e del suo stile simil-declamatorio – contribuisce poi nel fornire ulteriori sfumature ad un sound quasi pachidermico nell’incedere, ermetico nella forma d’espressione e mai troppo propenso e favorevole alla concessione melodica orecchiabile o all’armonia di facile assimilazione.

Detto così, ce ne rendiamo conto, quanto elaborato dai Danger Ego potrebbe sembrare, in effetti, un mattone indigesto dalla monotonia densa ed impenetrabile .
E tocca ammetterlo: ai primi ascolti di “Autopsy”, il rischio d’imbattersi in una qualche forma di noia è concreto, proprio a causa di uno stile dilatato e non esattamente easy listening che spiazza e non lascia appigli o riferimenti tangibili all’orecchio.
Come altrettanto ovvio, è quindi il consigliare ad Angelini e compagni una certa revisione del comparto melodico dei brani che, altrimenti, rischiano di appassire nell’interesse dei potenziali fruitori dopo solo un paio di passaggi.

Ma è tuttavia similmente palese come – l’esperienza insegna – il soffermarsi sulle semplici impressioni immediate possa essere in parte fuorviante e periglioso.
Se dunque, per un certo verso, l’offerta del gruppo fiorentino ce la mette tutta per arroccarsi entro una coltre caliginosa di suoni arcigni e ritmi a “chiusura stagna”, è pur vero che, con il procedere dei passaggi, le nebbie in qualche modo si diradano, lasciando spazio ad imbeccate e soluzioni che accoppiano potenza e cori efficaci.
Le spruzzate psichedeliche di “Light Or Darkness” ad esempio: chitarre grintose ed ambientazione sulfurea che spezza la tensione emotiva sfociando in un ritornello ampio e solare, forse ancor più performante in virtù del contrasto sperimentato con il resto della canzone.

Proprio quando riescono ad azzeccare il giusto equilibrio, i Danger Ego offrono, insomma, il meglio di se. Ulteriore dimostrazione è pure la successiva “Wings Of Freedom”, pezzo per il quale vale grossomodo la descrizione riferita poc’anzi: tenebre, oscurità e visioni fosche, squarciate da un coro pieno e vitale con tanto di tastiere di sottofondo alla Faith No More.
C’è poi la notevole forza immaginifica di un episodio come “You Belong To Me” a significare come la band toscana abbia tra le mani potenzialità per costruire qualcosa di importante, confezionando quello che, senza dubbio alcuno, si prospetta come uno dei momenti più riusciti dell’intero cd.
Certo è che brani come la conclusiva “Prison’s Escape” e la robusta “Runaway”, lanciano invece alcune perplessità, riportando tutto quanto alla questione “noia” di cui sopra. Le armonie si presentano in parte troppo statiche e l’idea di pesantezza diviene troppo assidua.

Non facili, complessi, sicuramente personali.
Ai Danger Ego manca un po’ la “botta” che potrebbe arrivare da qualche hookline davvero incisiva che consenta di emergere e di essere ricordati.
Caratteri, idee, attitudine e mezzi non scarseggiano. E a quanto pare nemmeno la produzione dei suoni, curata da Atomic Stuff in maniera più che soddisfacente.
Raffinando il songwriting al fine di raggiungere un buon bilanciamento tra un’anima sperimentale astratta ed enigmatica e la musicalità di canzoni complesse ma capaci di ottenere un riconoscimento più immediato – a nostro modesto modo di vedere – potrebbe nascere qualcosa di davvero buono.

Per intenderci, qualcosa dal respiro assolutamente internazionale.

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