Recensione: Avatarium

Di Carlo Passa - 8 Dicembre 2013 - 10:57
Avatarium
Band: Avatarium
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2013
Nazione:
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80

Gli Avatarium non sono solo la nuova band di Leif Edling, eterno bassista dei rimpianti Candlemass, ormai giunti alla fine di una epica e metallica carriera. Al suo fianco, infatti, troviamo alcuni nomi ben noti nel panorama metallico, come Marcus Jidell (ex Evergrey e Royal Hunt), Lars Sköld (Tiamat) e Carl Westholm (ex Abstrakt Algebra e con all’attivo anche un breve passaggio nei Candlemass intorno al 1998).
A dettar legge, tuttavia, sembra essere proprio Edling. Doom, dunque, ma non esattamente quello che vi aspettereste; ed è un pregio. Innanzitutto, la voce: Jennie-Ann Smith sa farsi cantrice elegante di melodie soffuse e mai melense, che la saggezza di Edling riesce ad amalgamare bene con quei classici riffoni doom che ne hanno caratterizzato l’intera produzione artistica.
Il disco non presenta cali di sorta; anzi, alcuni pezzi si assestano su livelli di eccellenza. Gli Avatarium sembrano superare alla grande il difficile compito di assemblare atmosfere diverse stagliandole su un panorama comune che sa toccare la sensibilità dell’ascoltatore: cosa c’è di meglio da chiedere a un disco doom?
La canzone posta in apertura, Moonhorse, riassume in sé tutte le caratteristiche della vena compositiva della band, alternando delicati arpeggi impreziositi da una splendida linea melodica con l’epicità cadenzata tipica del doom. Un piccolo capolavoro che matura con gli ascolti e che, mi auguro, rimarrà negli anni a venire.
Se possibile, Pandoras Egg amplifica ulteriormente quanto di buono proposto da Moonhorse, vedendo la Smith cimentarsi anche nelle parti più aggressive, in vero molto debitrici ai maestri indiscussi Black Sabbath.
Avatarium è un pezzone, da gustare a più riprese, scoprendone di volta in volta aspetti diversi, che galleggiano tra un certo senso di inquietudine e la grandeur orgogliosa tipica del genere. Brava, proprio brava Jennie-Ann Smith, che in Avatarium sembra calarsi perfettamente nel proprio ruolo di sacerdotessa doom.
Più semplice Boneflower, che suona quasi gothic. Buona, comunque, la linea melodica principale, benché il pezzo non paia in grado d’imporsi neppure sulla media distanza.
Di buon livello è la successiva Bird of Prey. E siamo sempre lì: riff distorti, lenti e pesanti che Edling e compagni palleggiano con sezioni acustiche valorizzate da una gran bella voce femminile.
Pur di qualità indiscutibile, Tides of Telepathy pare perdersi un poco nei solchi avanzati del disco, quando l’attenzione dell’ascoltatore richiederebbe qualche variazione sul tema, a questa altezza forse abusato.
Meno male che arriva Lady in the Lamp, una ballad meravigliosa che, senza nulla togliere alla Smith, pare scritta per la voce di RJ Dio, in virtù di certi evidenti richiami a Rainbow Eyes. Il pezzo è di una bellezza strabiliante e scaccia quel poco di monotonia che si era insinuata nel disco.
Avatarium è un ottimo disco. Certamente, ogni amante del doom lo adorerà senza mezzi termini. L’unica pecca, che potrebbe inficiarne il successo e la vita futura, è una certa ripetitività nella struttura delle canzoni, cosa che affatica leggermente l’ascolto del disco nella sua interezza. Insomma, si tratta del solito collo di bottiglia attraverso cui devono passare tutti i dischi doom: Avatarium ci riesce sicuramente meglio di altri, ma non senza qualche forzatura.
Comunque, ce ne fossero di dischi così.

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