Recensione: Az A Foygl A Goylem Tantsn

Di - 25 Novembre 2011 - 0:00
Az A Foygl A Goylem Tantsn
Band: Dibbukim
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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80

A dire il vero, e lo ammetto con un po’ di vergogna, non ci avrei scommesso un soldo bucato. Sarà stata ignoranza da parte mia, è innegabile, ma quello che viene definito Yiddish Folk Metal non mi convinceva affatto. Almeno prima di inserire il disco nell’impianto…
Come spesso accade, sopratutto quando si ha a che fare con dei preconcetti, il venir clamorosamente smentiti risulta essere prassi alquanto scontata. “Az A Foygl A Goylem Tantsn” è un disco che è stato capace di  demolire in un sol colpo non tanto delle radicate convinzioni, bensì una certa forma di pregiudizio musicale. Pregiudizio forse, e dico forse, giustificato dal fatto che il genere, piuttosto di nicchia se consideriamo lo scenario Folk Metal odierno, non abbia eserciti di sostenitori pronti a difenderne l’onore o decantarne i pregi come, ad esempio, può accadere per l’Humppa o il Viking. Onore al merito, quindi, agli svedesi Dibbukim e al loro pregevole disco d’esordio.
Un disco intenso e coinvolgente, denso di spirito e di orgoglio, delicato e friabile come l’argilla, duro e impetuoso come il passo del Golem. Favole e tradizioni Yiddish vengono proposte al grande pubblico grazie ad una musica coinvolgente ed estremamente orecchiabile, che esalta un folk insospettatamente familiare. Spesso, infatti, durante il normale scorrere delle note, fa capolino tra le reminiscenze musicali una strana sensazione di dejà-vu. L’uso delle due voci, una maschile ed una femminile, rende il prodotto ancora più avvincente. L’impatto con una lingua sconosciuta ai più non è uno scoglio duro da superare, anche  perché la melodiosa voce di Ida Olniansky favorisce l’assimilazione pressoché all’istante.

Ad aprire il disco la strumentale “Shpil Di Fidl Shpil” e la godibile “Yidl Mitn Fidl”, brani originariamente scritti dal compositore statunitense Abraham “Abe” Ellstein, per l’omonimo spettacolo teatrale. “Yidl Mitn Fidl” racconta la storia della ragazza Itke e del padre Arye e della loro vita di suonatori girovaghi in una Klezmer band, e lo fa con un suono coinvolgente e ricco di fascino, dominato dalla chitarra di Magnus Wohlfart. Pregevole, non solo in questo brano di apertura, la prova dietro le pelli del talentuoso Jacob Blecher.

Una dolce ninna nanna ci culla e ci trascina sonnacchiosamente tra le braccia di una madre che racconta al figlio di mondi nuovi e future fortune nella vita. “Rozhinkes Mit Mandlen”, scritta da Avrom Goldfaden, amalgama sapientemente una certa epicità ad una soave melodia particolarmente adatta al sonno dei  bambini. Il suono varia spesso mantenendo comunque un certo filo conduttore che spazia dal folk e dalle musiche tradizionali Yiddish rivisitate in chiave moderna, a dalle strutture molto vicine al power tedesco come, ad esempio, nella parte iniziale e nel ritornello di “Hinter Dem Tol”.

Il tempo passa in fretta mentre la proposta musicale dei giovani svedesi scorre veloce come un fiume in piena; tra storie di Re, Regine ed antichi regni giudei raccontati nella più lenta e sinuosa “A Mol Iz Geven A Mayse”, si arriva al brano che più di tutti ha colpito la mia attenzione. “Csárdás”, canzone scritta dal napoletano Vittorio  Monti, è una splendida rivisitazione della tradizionale omonima canzone popolare ungherese. Originariamente scritta per violino (o mandolino) e pianoforte, viene riscoperta e spolverata dai Nostri, capaci di renderla esplosiva e dannatamente Metal. Trascinante e rapsodica, schizofrenica ed incontenibile, “Csárdás” ci coinvolge, volenti o nolenti, dentro i turbini d’un ballo gitano, avvolti da vaporose e variopinte gonne e da seni grossi e duri contenuti a fatica in minuscoli corpetti di pizzo bianco.
 
La festosa ed alcoolica “A Mabl Fun Mashke”, chiama a raccolta orde di assetati gentleman, chiami a “lavar via la tristezza con un po’ di liquore”. Ottima anche la seguente “Khaloymes” seguita a ruota dalla poetica “Oyfn Veg Shteyt A Boym”, forse la canzone con maggiore concezione Yiddish Folk del disco, brano che riporta parole ed emozioni del poeta  Itzik Manger. La dolce fiaba racconta di un povero albero al margine della strada, dimenticato da tutti e  lasciato persino dagli uccellini che solitamente soggiornavano tra i suoi rami. Quando anche le piccole creature decisero di abbandonare i suoi rami ormai spogli, un bambino espresse il desiderio di essere trasformato in un uccello in modo tale da poter proteggere l’albero nelle fredde e ventose giornate d’inverno. Il cantato rende particolarmente triste la canzone, in linea con le sapide parole del poeta. A  concludere il disco, ora marchiato da un certo velo di tristezza e malinconia, tocca alla riuscitissima “Papirosn”, storia (vera) di un giovane orfano depresso dalla solitudine e dalla povertà, condannato all’oblio dalla sorella e dai parenti. Il finale della canzone, che coincide con la fine di tutto il lavoro, è concentrato nella voce di Niklas Olniansky che, accompagnato solamente da una chitarra acustica, impersonifica le preghiere del povero ragazzo che, congelato nel tentativo di vendere qualche sigaretta per strada, chiede intensamente alla Morte di essere portato via. Struggente finale per un disco davvero notevole.

Tirando le somme, ritengo di consigliare questo disco a tutti gli amanti del Folk: a 360 gradi, ben’inteso. Non credo che questo lavoro farà la fortuna della giovane band di Lumd; certo è che con un disco d’esordio così ben fatto, il futuro sarà radioso come quello cantato dalla madre di “Rozhinkes Mit Mandlen” nella sua ninna nanna.

Daniele Peluso

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Tracklist:
01. Shpil Di Fidl Shpil     
02. Yidl Mitn Fidl
03. Rozhinkes Mit Mandlen     
04. Hinter Dem Tol     
05. A Mol Iz Geven A Mayse     
06. Csárdás     
07. A Mabl Fun Mashke     
08. Der Tants     
09. Khaloymes     
10. Oyfn Veg Shteyt A Boym     
11. Der Rodmakher         
12. Papirosn

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