Recensione: Ballet of the Brute

Di Alberto Fittarelli - 14 Luglio 2004 - 0:00
Ballet of the Brute
Band: Hatesphere
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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75

Parlare degli Hatesphere ormai sta divenendo un qualcosa di molto simile al
commentare l’annata di un buon vino: piccoli alti e bassi magari ci sono,
differenze di volta in volta anche, ma si può sempre essere sicuri che la
qualità si mantenga su livelli altissimi. I pazzi death/thrasher danesi
riescono infatti a sorprendere pubblico e critica ogni volta, senza per questo
stravolgere il proprio sound con trovate di chissà quale portata: semplicemente
il combo non si allinea a quello che è il trend generale del loro filone,
spingendosi ancora di più verso la brutalità e la velocità e lasciando da
parte voci pulite, tastiere e simili amenità.

E se devo essere sincero apprezzo parecchio questo tipo di scelta, dato che
sembra fin troppo facile oggigiorno accodarsi al trend, magari per avere un
passaggio su MTV o VIVA col proprio clip: mi vengono in mente i Construcdead,
che dopo un debut fenomenale si sono messi sui binari di cui sopra… tutto a
scapito dello spessore e della qualità della musica. Gli Hatesphere mi
colpiscono invece sin da subito con un titolo, Ballet of the Brute,
che trovo assolutamente azzeccato: un contrasto di immagini forte, ironico, ed
assolutamente descrittivo di quanto contenuto nel disco. Si tratta infatti di un
album monolitico, ma per quanto possibile anche fantasioso e personale: le vette
si toccano in più punti, con pezzi thrash di stampo slayeriano come Deathtrip
e la sua intro The Beginning and the End, ad esempio; dove la band spinge
sull’acceleratore a più non posso macinando riffs con le chitarre senza troppo
preoccuparsi di creare un feeling catchy nel tutto. Quando lo fa riesce però ad
avere i risultati migliori: è il caso di Vermin, dove Jacob Bredahl
decide di poter usare bene l’alternanza di timbri vocali sporco/pulito (per un
esempio vi rimando a Release the Pain, opener del MCD
dal titolo lunghissimo uscito prima di quest’ultimo album) e dove la band si
concede qualche sprazzo di melodia nell’assalto generale; o di What I See I Despise,
forse l’apice del disco, con un main riff di quelli che restano nel cervello al
primo ascolto ed un ritmo da headbanging puro.

Una riflessione tocca farla sicuramente anche sui risultati raggiunti dai
danesi: un tour che li vedrà protagonisti in Europa di spalla agli Exodus
dovrebbe infatti convincerci finalmente che non stiamo più parlando di una band
nata sulla scia di qualcun altro, e nelle fattispecie del movimento di Goteborg,
ma di una realtà solida ed affermata che al terzo disco ci pone un aut aut:
considerarli leaders o ignorarli (ma perdendoci sicuramente molto).
Obiettivamente, mi sento di propendere per la prima scelta.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. The Beginning and the End
2. Deathtrip
3. Vermin
4. Downward to Nothing
5. Only the Strongest…
6. What I See I Despise
7. Last Cut, Last Head
8. Warhead
9. Blankeyed
10. 500 Dead People

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