Recensione: Baptized by Fire

Di Giuseppe Casafina - 23 Settembre 2015 - 11:09
Baptized by Fire
Band: Summon
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2000
Nazione:
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89

ANALIZZANDO IL PASSATO

Quando si parla dei Summon, il sottoscritto comincia a domandarsi su alcuni perché tipici della realtà musicale, quelle varie motivazioni inspiegabili che ti portano da una parte a dubitare della bontà di gusto dell’audience metallara, da un’altra parte del perché certe realtà di sublime impatto musicale non vengano mai sponsorizzate a dovere. Il risultato è che le proposte valide si ritrovano a fare la solita figura delle formazioni di culto, mentre chi già c’è tira a campare con una roba di mestiere tirata a lucido unicamente dal nome….aspettate, oh calma, chi ha detto Belphegor là in mezzo? No non scappare non ti faccio nulla, semmai ti faccio un regal….uff, scappato!

Vabbè….

Tralasciando paragoni spesso che in realtà non aggiungono nulla, direi che è finalmente il caso di parlare dei Summon, realtà musicale al tempo sotto l’ala protettrice di Killjoy (Necrophagia) e della ormai defunta Baphomet Records, ed in particolare di questo mai lodato “Baptized by Fire”, originariamente uscito nel 2000.

Potremmo tranquillamente dire che se solo questo disco fosse stato leggermente più sponsorizzato come meritava, forse il nuovo millennio sarebbe realmente iniziato con il famigerato ‘botto’ ma così non fu, ed ecco quindi che ci ritroviamo oggi, ben quindici anni dopo la sua uscita originaria, a tessere le lodi di un disco quasi perfetto e forse monotematico nella sua blasfema invettiva anticristiana lanciata a tutta velocità ma assolutamente distruttivo, folle, malato, perverso: se tutte queste doti sono quello che cercate nella musica, allora forse vi conviene continuare a leggere….

 

FURIA OMICIDA LANCIATA VERSO L’IPERSPAZIO

I Summon sono quattro pazzoidi originari del Michigan che, a giudicare da quel che suonano e come lo suonano, dovrebbero essere un bel po’ incazzati….parlo al presente per positivismo ovviamente, dato che non si hanno più notizie di loro dal 2005, anno di “Fallen”, ultimo capolavoro dei quattro americani anch’esso passato in sordina rispetto a quanto meritasse, dato che la stampa specializzata dell’epoca lo schiaffò in mezzo a quei dischi belli ma incompresi, come da tradizione Summon.

Comunque dicevano, quattro pazzoidi, e di parecchio aggiungerei: il black-thrash dei Nostri suona come se degli Slayer su di giri avessero stretto un rumoroso patto demoniaco con una versione schizzata a mille dei Morbid Angel, senza scordare di includere  un’orda di Marduk ubriaconi e molesti nella bozza del contratto luciferino….il risultato finale è terrificante, e per fortuna in senso buono.

Dopo una classica introduzione fatta di crescendo orchestrali la combriccola ti rifila subito una pallottola sparata alla velocità degli ultrasuoni: “Sons of Wrath” suona esattamente come una dichiarazione di guerra senza possibilità di armistizio, dove le chitarre iper-sature ed il drumming forsennatissimo servono la corte dello scream più acuto e lacerante che possa esistere in Terra.

I riff degli americani suonano esattamente come (appunto, come sopra) se i Morbid Angel fossero impazziti di botto per darsi alla velocità più estrema, ma mantenendo allo stesso tempo il loro trademark morboso. Se poi a ciò aggiungete una violenza esecutiva sempre al limite della sopportazione umana (perché, statene certi, che questi qua di sicuro son demoni in Terra) capirete la ragione per cui è impossibile che ad un qualsiasi fan del metal estremo i Summon possano fare schifo.

Non esiste neanche la più remota possibilità appunto, che i Summon non possano colpire e per fortuna dalla loro non hanno solo la velocità disumana, ma anche delle capacità di songwriting sopra la media per il genere ed una bella dose di testi iperblasfemi contro qualsiasi cosa che osa respirare su questo losco pianeta di babbani!

E se dite che mi sto facendo prendere un po’ troppo la mano dalla musica di questi loschi figuri del metallo, sappiate che avete ragione. Ma toccherà anche a voi, perché, una volta che l’indemoniato assolo finale della citata “Sons of Wrath” sfocerà nell’inizio di “Vision of Apocalyptic Grace ”, pezzo delicato come una tripla mazza chiodata sui testicoli con i suoi rallentamenti in doppio pedale che grondano sangue e morte feroce contro il paradiso, allora capirete che farsi trascinare del mood iperviolento ed assassino dei Summon è cosa ‘blasfemamente’ buona e giusta. Gli assoli sono di chiara scuola Slayer, quindi rumorismo Hannemaniano a palla con tanta schizofrenia e pochissima concezione alla melodia, solo piccoli frammenti quando il caos lo richiede.

Con “The Silence of Choas” e la title-track si assiste all’erigersi di due altri monumenti costruiti in onore di sua maestà il rumore. La ricetta è sempre la stessa e non si cambia di una virgola, ma sembra che la noia non prenda mai il sopravvento ed in fondo, ad essere onesti, come sarebbe possibile? Il male, quanto prende forme di questa consistenza, non è mai stato così sonicamente seducente.

Su “Dark Descent of Fallen Souls” l’odio satanico schizza a velocità ancora più folli ed insensate, i riff a duemila all’ora ti trascinano nella loro corsa furiosa per poi rallentare nella metà in un mid tempo a terzine condito della solita doppia cassa a manetta portando una sana dose di varietà omicida al platter….insomma, i nostri serial killer dimostrano anche una certa esperienza nel mostrare ai propri ascoltatori diverse tecniche di annichilimento.

Su “Realm of No Return” l’ensemble prova a cambiare registro con un pezzo di 8 minuti, infarcito di numerosi cambi di tempo ed atmosfera: non solo scream, ma anche spoken vocals colorano l’assalto all’arma bianca del quartetto, il tutto condito da leggeri inserti di tastiere per quel che basta a dare la giusta atmosfera, rigorosamente infernale e pullulante di zolfo in dosi letali.

Fuoriclasse? Forse si.

Le tracce della seconda metà del disco sono forse quelle più varie: “Burning Black Desire” parte con un riff thrash in piena scuola Slayer prima di esplodere nella consueta rumorosità di scuola Summon, mentre al contempo “Beyond the Gates of Storm” puzza di Marduk in più di un frangente senza lasciare che le influenze sovrastino la personalità vera e propria dei quattro pazzoidi che suonano sul disco.

Con “Eve of Anti-Creation” ci si avvicina alla fine del disco per un brano che è pura ordinaria amministrazione per i Nostri pur non essendo assolutamente un brutto pezzo di per se, anzi i nostri demoni ci infilano al suo interno alcuni passaggi di notevole valore tecnico.

Quindi stop, si arriva alla fine.

Il Male è qui arrivato per donarci il suo ultimo proclamo, urlando al Mondo l’oscurità eterna.

“Eternal Darkness” scuoierà la vostra pelle per l’ultima volta, accelerando come non mai per dare la giusta mazzata conclusiva e lasciare stremata ogni forza, ogni resistenza: il finale riprende il riff iniziale ma ci aggiunge assoli a tredicimila kilometri orari e schizza le ultime dosi di sangue contro il nostro povero udito sofferente.

Forse non troppo efficace ad un primo ascolto, questo brano col viavai degli ascolti si rivelerà essere uno dei più riusciti di tutto il disco, mentre l’outro prosegue come se fosse l’ultima inquietante marcia sinfonica verso la morte della vita….

 

THE GATES ARE OPEN

Questa riesamina storica quindi giunge alla fine, i cancelli verso le vie dell’inferno sono stati spalancati e non ci sarà alcuna possibilità di fare dietrofront, pena il sorbirsi dieci ore ininterrotte di canzoni di Cristina D’Avena sparate in ordine casuale: quasi quasi, meglio farsi ‘sparare’ dalle cartucce dei Summon.

Blasfemo, morboso: in una parola, monumentale.

Assolutamente da rivalutare, se avete l’innata fortuna di trovarne in giro ancora una copia e quanto letto finora vi ha esaltato procuratevelo assolutamente, non ve ne pentirete per nemmeno un secondo, anche perchè in un solo secondo di musica dei Summon ci sono almeno dieci riff in blast-beat….

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