Recensione: Barbarossastraße

Di Stefano Burini - 27 Aprile 2013 - 10:43
Barbarossastraße
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Anno: 2013
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78

Barbarossastraße: con un nome e una copertina come quelli scelti da questa band senese di non primissimo pelo (sono “on the road” dall’ormai lontano 2003, nonostante l’esordio su disco sia uscito proprio quest’anno), poteva sembrare logico immaginarsi un gruppo di noise/alternative rock come va per la maggiore oggigiorno nel mainstream tricolore (e non solo). 

Al contrario, e con grande sorpresa, una volta inserito il disco nel player scopriamo di avere tra le mani una sorta di piccolo grande manuale di  hard/rock ‘n’ roll vecchia maniera. Undici canzoni schiette e prive di fronzoli, imperniate sull’efficace guitar work di Riccardo Ciabatti e Francesco Cappelli, sorrette dalla sezione ritmica asciutta e puntuale costituita da Alessandro Pozzebon al basso e Marco Guardabasso alla batteria e coronate dalle ottime hookline melodiche ad opera di Dario Tanzarella. La sua voce sottile, ambigua e viziosa rende ancor più evidente la “parentela” tra il sound dei Barbarossastraße e quello dei Mötley Crüe, tuttavia le similitudini non si fermano lì, vista la sostanziale adesione del quintetto senese agli schemi più classici del genere, tra riff tanto elementari quanto godibili e assoli di chitarra di discendenza blues/hard/rock ‘n’ roll.

Difficile e addirittura ridondante andare ad effettuare un track by track per un album così compatto e omogeneo sia dal punto di vista stilistico sia dal punto di vista qualitativo. Le canzoni si mantengono tutte su un livello medio alto e, a partire dall’opener “Your Eyes At Me”, passando per  il feeling frizzante di “S.M.D.” e “Scream My Name”, strumentalmente più vicine ai Guns N’ Roses, fino a giungere alla verve di “Touch Me (I Want Your Body)”, riuscita cover della celebre hit di Samantha Fox, la bandiera del divertimento garrisce al vento in tutta la sua irriverenza.

Non si registrano d’altro canto scivoloni di sorta per tutta la durata dell’album, sicché le restanti canzoni, svolgono perfettamente il loro compito, facendoci scapocciare a dovere sulle loro note (come accade per la doppietta composta da “Got All I Need(Without You)” e “When You Think To Me”), facendoci urlare a squarciagola sul refrain probabilmente più riuscito di tutto l’album (“Hungry Skin”) e riusciendo anche ad emozionare con il flavour decadente della spettacolare “Chains Of Passion”, una sorta di semi-ballata che sfuma tosto nell’hard rock più selvaggio.

Nel complesso, un altro gruppo che, in buona sostanza, non inventa nulla di realmente nuovo ma che, rispetto a molti altri act di puro “revival”, anche più blasonati, riesce a replicare in maniera straordinariamente fedele (e con grande qualità) un suono ed un’attitudine in realtà più semplici da “parodiare” che non da rievocare con il giusto trasporto e la dovuta convinzione.

Grande esordio, dunque, da parte dei Barbarossastraße, realtà da tenere certamente d’occhio e in merito alla quale verrebbe da chiedersi il perché di un debutto così tardivo. Se proprio, viceversa, s’ha da muovere una piccola critica, personalmente ritengo che l’artwork scarno e minimale sia un po’ fuorviante in rapporto alla proposta e che non renda giustizia alla professionalità e allo spirito del gruppo; tuttavia, ad onor del vero, si tratta di piccolezze. Avanti così e speriamo che il bis non debba aspettare altri dieci anni prima di vedere la luce.

Stefano Burini

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