Recensione: Bark At The Moon

Di Filippo Benedetto - 13 Febbraio 2004 - 0:00
Bark At The Moon
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Anno: 1983
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84

Dopo la morte di Randy Rhoads Ozzy Osbourne cadde in una crisi depressiva molto forte. Il colpo fu molto forte sia dal punto di vista musicale che umano. L’amicizia cementata nel corso degli anni con il giovane chitarrista aveva colmato più di una lacuna nella personalità artistica del famoso dell’ex Black Sabbath. Trovatosi a dover gestire parte dell’eredità artistica di Rhoads e ripresosi da un periodo di profonda crisi depressiva, il nostro si mise subito alla ricerca di un valido sostituto alla sei corde che sapesse mantenere su buoni livelli la qualità del sound originario della band. Dopo varie ed estenuanti audizioni (e dopo la breve parentesi con Gillis) la scelta cadde su Jake E. Lee, un giovane e promettente guitar man, con il quale Ozzy si mise subito al lavoro per le lavorazioni del successore di “Diary of a madman”. Fu così che uscì “Bark at the moon”, terzo album da studio datato 1983.
Quest’album presenta un Ozzy ben deciso a ritornare in scena mostrando tutta la sua carica teatrale a partire dall’artwork scelto. In esso è ritratto il Madman completamente trasformato in una sorta di licantropo. Risulta esemplare quanto particolare il modo scelto, dunque, da Ozzy per  inaugurare la nuova fase artistica da lui intrapresa. Il famoso singer, infatti, con questo lavoro sforna un sound meno incentrato sulle chitarre ma sicuramente valorizzante la “coralità” dell’intera band. Voluta o non voluta, questa scelta ha portato alla realizzazione di un album decisamente vario nella proposta musicale e nel quale il lato malinconico di Ozzy traspare con maggiore evidenza rispetto al passato. Forse non è stata solo la morte di Randy Rhoads, ma anche il grosso sforzo di riabilitazione psicologica precedentemente intrapreso a portare l’ex singer dei Black Sabbath ad avventurarsi in nuovi territori musicali. Ma partiamo, dunque, con l’analisi più dettagliata di questo disco.
Si comincia proprio con la title track del platter, “Bark at the moon”. Subito è un energico riff a “colpire” l’orecchio dell’ascoltatore. Il brano sembra quasi evocare la grandezza delle fatiche discografiche precedenti e, grazie al buon lavoro svolto da Jake E. Lee alla chitarra, a conti fatti pare riuscirci decisamente bene. Gli “ingredienti” per una grande song, in sostanza, pare che ci siamo in abbondanza: un bell’assolo, vocals ispirate e un lavoro alla sezione ritmica di forte impatto. La seguente “You’re no different” cambia decisamente atmosfera, esplorando sonorità malinconiche e a tratti cupe (merito di un evidente uso di tastiere e organo). Il brano è ben impostato, a partire dal refrain dalle tinte tristi a cui fa seguito un “irrigidimento” del tema principale dai contorni cupi e maestosi allo stesso tempo.
La terza track “Now You See (Now you don’t)” si avvale di un riff portante che si amalgama bene con  la sezione basso/batteria dando una sensazione di forte compattezza dell’insieme degli strumenti. Il refrain,poi, è giocato su ritmiche che inizialmente sono più rallentate per poi trovare sbocco nuovamente in un ulteriore approfondimento del tema principale. Nel momento in cui la song si sviluppa lungo un riffing maestoso, irrompe un bell’assolo che la arricchisce di un certo pathos.
Un giro di chitarra diretto e potente apre “Rock’n’Roll Rebel”, quarta traccia di questo platter. Proprio questo riff risulterà poi essere quello portante dell’intero brano, salvo poi trovare sviluppo nel refrain sul quale, forse, la band poteva lavorare con maggiore cura e fantasia. Ad un certo punto il pezzo “cambia pelle” e assume contorni cupi e malinconici molto suggestivi per poi riposizionarsi lungo le coordinate fondamentali tracciate del riff portante della canzone. In chiusura interviene un assolo di pregevole fattura.
Suona una campana, a cui segue una sorta di canto gregoriano seguito a sua volta ancora da un motivo cupo intonato da un organo: tutto ciò introduce a “Center of Eternity”. La song sprizza energia e stuzzica l’orecchio dell’ascoltatore rievocando nuovamente il glorioso passato discografico del “Madman” solista agli esordi. Anche in questo caso è da notare il più che soddisfacente Jake E. Lee che sembra, in maniera discreta, tributare lo scomparso Randy (Rhoads) con pertinenti interventi solisti che donano pregevolezza e godibilità al brano.
La traccia seguente, “So Tired”, sembra fare completamente “tabula rasa” del sound fino ad ora proposto per ovviare ad un altro più morbido, melodico e dai tratti di struggente romanticismo. La song  lascia un po’ interdetti, non certo per la buona e indiscutibile esecuzione, quanto per la sua poca pertinenza con il resto del disco. In effetti la track, in più di un passaggio, sembra prendere in prestito alcuni tipici “cliché” del Beatles sound.
Il disco è ormai prossimo alla conclusione e tocca a “Slow Down” riposizionare le coordinate sonore del platter lungo un riffing “roccioso” e serrato di chiara matrice matrice heavy. Il pezzo scorre veloce, grazie ad un buon lavoro svolto da ognuno degli strumentisti.
La conclusiva “Waiting for darkness” è una track nella quale atmosfere cupe si alternano a momenti di più melodica accessibilità. Il brano suscita opportunamente un senso di tensione, grazie anche al bel refrain sottolineato, quasi all’unisono, dalla chitarra solista e dalle tastiere. La traccia, in seguito, subirà una breve apertura di più melodico impatto per poi trovare sviluppo in un motivo più cupo ed introspettivo.
Per concludere si può dire che “Bark at the moon” sia un buon disco che mostra una ulteriore maturazione del “Madman”, che con questo lavoro sembra svelare, con l’ausilio della musica e con una certa introspettività lirica, nuovi aspetti della sua personalità artistica.   

Tracklist:

1. Bark At The Moon
2. You’re No Different
3. Now You See It (Now You Don’t)
4. Rock `N’ Roll Rebel
5. Centre Of Eternity
6. So Tired
7. Slow Down
8. Waiting For Darkness
9. Spiders – (bonus track)
10. One Up The ‘B’ Side – (bonus track)

 

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