Recensione: Bastards of Beale

Di Fabio Vellata - 22 Febbraio 2019 - 0:01
Bastards of Beale
Band: Tora Tora
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2019
Nazione:
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60

Archeologia musicale. 
Magari combaciata a qualche sussulto vicino alle nuove tendenze che, sempre più spesso, protendono lo sguardo verso il passato, piuttosto che cercare idee nuove proiettate al futuro.

In un contesto simile riemergono dalle nebbie del tempo gli americani Tora Tora, gruppo originario di Memphis che ha conosciuto un pizzico di gloria a cavallo tra anni ottanta e novanta, pubblicando una coppia di album per A&M Records accompagnati da qualche riscontro commerciale e da una serie di eventi live di un certo prestigio. 
Salvo poi rimanere stritolati dall’ondata grunge, l’elemento “sterminatore” per eccellenza di gran parte delle band hard rock attive negli anni ottanta.

Il periodo attuale, di nuovo particolarmente sensibile e ricettivo nei confronti di coordinate stilistiche che vanno a ripescare sonorità hard miste al blues (magari con tanto di radici settantiane) ha sicuramente giocato un ruolo determinante nel ripescaggio di un gruppo che in passato ha senza dubbio dimostrato di possedere qualche buona qualità, pur senza emergere in senso assoluto. 
Li ricordiamo, infatti, come una sorta di alter ego dei Cinderella, band leggendaria con cui i Tora Tora hanno condiviso parecchie caratteristiche.
Dopo aver cercato e messo sotto contratto realtà classic rock come Dirty Thrills, Doomsday Outlaw, Bigfoot e – soprattutto – Inglorious, ai sempre attivi vertici di Frontiers Music deve essere parsa un’idea altrettanto valida quella di dare una nuova chance anche ai Tora Tora, combo che ben si adatta al profilo musicale descritto poc’anzi.

Non sempre tuttavia, a buone speranze fanno seguito adeguate conferme. Alla luce di questo nuovo disco, il nome dei Tora Tora, in effetti, si rivela come l’anello debole della pattuglia di band tradizionalmente hard in forza a Frontiers, in virtù di una serie di brani che purtroppo riesce a brillare solo di rado, lasciando talora la poco confortante sensazione di un qualcosa di sospeso, incerto, mai davvero convinto dei propri mezzi.
Un blues rock che non spinge quasi mai sull’acceleratore, ma nemmeno prova con continuità a cogliere atmosfere suggestive: non si ravvisa ne quel romanticismo scavato, polveroso e rurale che talvolta riecheggia nei solchi dei maestri del blues sudista, ne la cattiveria, muscolosa, arcigna ed assordante, dei più ruspanti e recenti esponenti del genere. 
Ma neppure, motivo principale di rammarico, lo stile tipicamente eighties che era stato alla base di un buon ellepi come “Surprise Attack“, esordio edito nel lontano 1989.
Quello in cui, all’annuncio del come-back in formazione originale del combo del Tennessee, intimamente speravamo di più…
Si incontrano, a onor del vero, sprazzi di musica suonata comunque con perizia: non sono sicuramente il valore tecnico, l’esperienza o la mera abilità dei singoli a difettare. 
Ma pure qui, c’è da rilevare qualche motivo di disappunto: la particolare voce di Tony Corder infatti, uno dei tratti irrinunciabili e distintivi tipici del gruppo, sembra aver perso un po’ di smalto, risultando meno graffiante è più incerta rispetto agli esordi.

Sons of Zebedee”, “Son of a Prodigal Son”, “Silence the Sirens” e “Vertigo” sono buoni brani che, tutto sommato, aiutano il cd a non perdersi nell’anonimato, riservando qualche momento piacevole.
Ma è realmente pochino per poter considerare “Bastards of Beale” un vero successo, tanto da sollevare contemporaneamente qualche dubbio sull’utilità di un ritorno in scena riuscito solo in parte e su quelli che potrebbero essere gli eventuali risvolti futuri.

Spiace dirlo, ma i Tora Tora degli esordi erano tutt’altra cosa.

 

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