Recensione: Battering Ram

Di Matteo Lavazza - 24 Maggio 2004 - 0:00
Battering Ram
Band: Iron Savior
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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70

Arrivano al traguardo del quinto disco gli Iron Savior, guidati da sempre da “Mister Metal Tedesco” Piet Sielck. La band nel corso degli anni ha perso elementi del calibro di Thomen Stauch, dopo il primo disco, e Kai Hansen, ma è sempre riuscita a mantenersi su ottimi standard qualitativi, seppur non abbia mai brillato per originalità.
Forse qualcuno all’uscita di questo disco ha avuto la malsana idea di pensare che la band potesse apportare qualche modifica al suo sound, idea che scopare subito di fronte al riff iniziale dell’opener “Battering Ram”, una chitarra che più Metal non si può apre una canzone che è la quintessenza del Metal made in Germany, potenza e buone melodie vocali sono l’asse portante sia del pezzo che di tutto l’album, nessuna sorpresa quindi, il buon Piet proseguo dritto per la sua strada.
In tutto il disco non c’è un solo brano, e nemmeno uno stacco, che stupisce, il tutto è perfettamente incanalato nel classico Iron Savior Sound, bisogna però ammettere che la band è dannatamente brava a trovare riff di chitarra incredibilmente coinvolgenti, e canzoni come “Stand Against the King”, nemmeno a dirlo puramente Metal, “Tyranny of Steel”, con un ritornello vagamente epicheggiante che riesce davvero a coinvolgere, “Break the Curse”, con i suoi riff spaccasassi, penalizzata forse da una linea vocale non proprio all’altezza nelle strofe, la veloce “Riding Free”, trascinante e con buone melodie, e soprattutto la finale “H.M. Powered Man”, un vero e proprio inno Metal, riff iniziale in pieno stile Saxon, strofa sulla falsariga delle ultime cose dei Manowar, tipo “Warriors of the World (United)” per intenderci, e ritornello alla Accept, il tutto unito a creare un vero e proprio anthem.
I problemi nascono quando canzoni non supportate dall’originalità non riescono ad avere la scintilla vincente, allora tutti i limiti degli Iron Savior vengono a galla, purtroppo le varie “Time will Tell”, “Wings of Deliverance”, “Machine World” e “Starchaser”, canzoni perfettamente in linea col suono generale del disco, ma senza quel tocco che riesce a far passare in secondo piano un songwriting scontato in favore dell’energia e della potenza.
I suoni sono, manco a dirlo vista l’esperienza anche in questo campo di Piet, davvero ottimi, potenti e puliti al punto giusto.
Tecnicamente sulla band c’è poco da dire, la batteria di Thomas Nack (ex Gamma Ray tra l’altro) è sempre potentissima e precisa, le parti ben studiate ed in grado di donare varietà alle canzoni, un po’ prevedibili invece i giri di bassi di Yenz Leonahardt; i due chitarristi, Sielck e Joachim “Piesel” Kustner sono decisamente bravi in fase ritmica, mentre gli assoli non sono mai un granchè.
Gli Iron Savior sono un gruppo che non tradisce mai le aspettative dei fans, con loro si va a colpo sicuro, sinceramente per me questo è un pregio, anche se i loro detrattori non hanno tutti i torti quando li tacciano di essere ripetitivi, ma in fondo ogni tanto qualche bella bordata di Metal puro e semplice fa sempre bene, e io sono convinto che la scena abbia un gran bisogno di gruppi come loro.

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