Recensione: Battle Beast

Di Stefano Ricetti - 25 Giugno 2013 - 0:10
Battle Beast
Band: Battle Beast
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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78

Chiamare con lo stesso nome della band qualsiasi album successivo al primo pare essere divenuto una consuetudine, come a dire: il vero disco che più ci rappresenta è questo! Poi, sappiamo benissimo che il più delle volte si tratta solo di una bieca operazione acchiappacitrulli, oltremodo condita dalle dichiarazioni entusiastiche del gruppo di turno attraverso i canali mediatici: <<L’essenza del nostro lavoro sta tutta qua, la produzione è migliore del resto della nostra discografia, per la prima volta il songwriting è opera di tutti i membri della band, abbiamo sperimentato questo e quello, saremmo felici di suonare dalle vostre parti, il Vostro pubblico è il più caldo del pianeta>> e via così di banalità stereotipata in banalità stereotipata.

Orbene, per quanto riguarda i finlandesi Battle Beast, nonostante sia statisticamente e percentualmente irrilevante visti i soli due album all’attivo, il disco omonimo, targato 2013, probabilmente è per davvero quello che fotografa al meglio le Loro geometrie musicali.       

Pompati finché si vuole dalla potente Nuclear Blast non è certamente per caso che i Nostri abbiamo raggiunto siffatto traguardo: le vittorie al Wacken:Open:Air Metal Battle del 2008 e al Radio Rock Starba stanno a dimostrare che del talento in seno al gruppo esiste eccome. Il buon esordio del 2012 intitolato Steel permette Loro di accompagnare i Nightwish per una ventina di concerti in giro per l’Europa. Evidentemente dei cudèghin gli scandinavi non sono, anche perché riescono a sostituire la cantante “storica” Nitte Valo con l’altrettanto valida Noora Louhimo, prontamente svezzata lungo il tour insieme con i Sonata Arctica.

Prodotto e missato presso i JKB Studios di Helsinki con il mastering operato al Finnvox da Mika Jussila, Battle Beast dà modo alla nuova singer di presentarsi ufficialmente al mondo tutto. 

Fin dai primi istanti di ascolto è inevitabile non associare la bella Louhimo a Herr Udo Dirkschneider, non di certo un Adone ma in possesso dell’ugola alla carta vetrata più famosa del pianeta, Lemmy Kilmister escluso. Noora, da gentil donzella qual è, impressiona per davvero: in alcuni passaggi è addirittura  difficile immaginare che veramente vi sia una donna dietro al microfono, tanta è la potenza mista all’aggressività espressa.

Prendete gli Stratovarius più in forma e caricateli a molla, alzando al massimo i volumi, enfatizzate il tutto e poi lasciate al proprio destino il meccanismo: quello che ne viene fuori è Let It Roar, l’opener del disco. Aggiungete la veemenza degli Accept, uno a scelta fra gli archetipi dei riff portanti dell’HM mantenendo le tastiere accompagnatorie ed ecco servita Out Of Control. Bastone e carota conditi da cori tipici da Rock Arena in Out On The Streets, Saxon sputati in Neuromancer per via delle tipiche schitarrate-architrave, poi chorus maschio a la Accept come ciliegina sulla torta. Altrettanto sputati i Judas Priest veloci a reggere Raven lasciando urlare al mondo il titolo sgorgato dall’ugola scorticata della bionda Noora Louhimo.

Primo brano gentile del lotto impersonato dalle trame di Into The Heart Of Danger, forte di cori e controcori e un refrain davvero ficcante, Machine Revolution scomoda il mood di marca Axel Rudi Pell anche se il chorus è 100% Accept e, tanto per non farsi mancare nulla, i ‘Beast piazzano anche il duetto epico costituito dall’intro cavalleresca – e tutta strumentale – Golden Age seguita dalla possanza stentorea a la Manowar di Kingdom, highlight di razza, sì pacchiana ma tanto tanto metallica quanto salutare. Curioso ritrovare poi, i White Skull e in particolare il drumming che è uso portare in dote Alex Mantiero durante i bombardamenti in doppia cassa contenuti all’interno del pezzo, pressoché uguali a quelli del combo di stanza a Vicenza.    

Ancora Accept, palesemente plagiati, in Over The Top, Motorhead a manetta misti al rifferama veloce dei Judas Priest nella adrenalinica Kill Fight Die, incedere militaresco a la Manowar nella dolceamara Black Ninja e chiusura affidata ai cori a squarciagola di Rain Man, figlia ancora una volta del gruppo facente capo, ormai da qualche anno, al solo Wolf Hoffmann

L’album vive di grandi richiami a quanto creato da altri. Dove risiede quindi l’originalità dei Battle Beast? Nella voce d’acciaio di Noora, incredibile, trapanante, siderurgicamente ammaliante. Per il resto i finlandesi non inventano nulla, semplicemente riescono a confezionare tredici brani ottimamente prodotti, roboanti quanto quelli scritti dai Cryonic Temple dieci anni fa, interpretando a modo Loro la lezione dei grandi del Metallo. Acciaio a fiumi, senza alcun filler ma soprattutto con quel piccolo tocco di magia che premette a un disco di non stancare, tanto da permanere in heavy rotation all’interno del cd player della Stilo dello scriba da qualche settimana a questa parte.              

Battle Beast = nuova frontiera dell’Hard, come si era usi leggere dagli scritti dall’intellighenzia metallica cartacea tricolore qualche decennio fa sugli organi ufficiali di settore? Ai posteri l’ardua sentenza. L’omonimo del combo proveniente da Helsinki è disco frizzante che spacca quanto e come deve, tutto il resto sono solo chiacchiere e distintivo… 

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

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