Recensione: BCCIV

Di Luke Bosio - 24 Settembre 2017 - 19:15
BCCIV
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2017
Nazione:
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90

Non tocca sicuramente a me rimarcare il fatto che la scena “Rock” mondiale stia attraversando un periodo difficile e di totale smarrimento creativo. Di fatto, negli ultimi anni, un’impressionante crisi artistica stagnante ha investito i migliori artisti e si sta ripercuotendo in maniera esponenziale a livello prettamente commerciale. Questo è un dato di fatto allarmante sotto gli occhi di tutti: discografici, giornalisti, negozianti e fans… Come saprete, le poche briciole vengono puntualmente spartite tra i soliti brontosauri annacquati che, con una cadenza per lo più triennale, si ripropongono con altisonanti ciofeche spacciate da insulsi critici per capolavori assoluti. Nonostante sia nato nell’ormai lontano 1968, come facilmente capirete, non ho avuto l’onore di potermi cimentare in prima persona con uscite discografiche di tutt’altro lignaggio da quelle che mi capitano tra le mani in questo periodo. Capolavori divenuti col tempo pietre miliari, mi riferisco a: ‘In Rock’, ‘Machine Head’ e ‘Burn’ dei maestri dell’hard rock Deep Purple, ‘IV’, ‘House Of The Holy’ e ‘Physical Graffiti’ dei mistici Led Zeppelin, etc..solo per citare i principali artisti correlati a questa recensione. Lo dissi sin dai tempi dal loro debutto, i Black Country Communion sono una band assemblata in maniera perfetta per colmare il gap temporale tra quei magici anni di scoperta e creazione musicale e quelli di costante e perpetuo riciclo che stiamo vivendo ora.

Dopo cinque lunghi anni di ibernante stop, l’araba fenice presente in copertina rinasce e con essa tutto il movimento epocale di quegli anni riprende forma/valore attraverso le nuove composizioni di questi eccellenti artisti. La loro duttilità strumentale/compositiva non deve essere presa d’esempio come gancio traino verso un ritorno a quell’attitudine, no di certo, così come dopo l’ascolto di questo strabiliante lavoro discografico non dobbiamo sentirci in dovere di rifarci il guardaroba con braghe a zampa di elefante. No, niente di tutto questo! Black Country Communion funge da viatico verso la riscoperta e la valorizzazione di un sound che, nel 2017, appartiene davvero a pochi superstiti…un tempo grandi esploratori sonori. Saranno i cromosomi, saranno le condizioni ambientali, sarà lo stile di vita, non saprei, fatto sta che la ‘Black Country’, regione industriale inglese prossima a Birmingham e Wolverhampton un tempo annerita dalla fuliggine e lo smog prodotti da fabbriche, fonderie e miniere di carbone, è da sempre una culla per il rock duro inglese. Il nuovo e atteso parto discografico, mantiene inalterata la tradizione di famiglia, avendo come titolo “BCCIV”. I fans italiani del vero rock devono sapere che IV è roba genuina, il disco per loro e per tutti quanti noi. Un album di inni rock per il 2017 e per gli anni a venire! A differenza degli ottimi predecessori, si sente una sola chitarra per volta, e quando Derek suona l’organo o L’hammond non c’è il pianoforte. Le canzoni sono molto forti, molto solide, epiche e a tratti oscure. Sono state composte per stupire e ammaliare e successivamente per essere portate sul palco. Ovvio che il suono, lo si sarà capito, è molto anni ’70: perché è da lì che proviene Hughes, lui ha suonato nei Deep Purple e nei Black Sabbath, e c’è il figlio di John Bonham, Jason, che porta alla band un groove totalmente zeppeliniano e in più Joe Bonamassa (uno che a 12 anni ha aperto per un certo B.B. KING!) che è il nuovo maestro del blues ma anche un grande chitarrista rock. Attenzione: non un chitarrista blues che finge di essere rock. E’ rock è basta! La formula apparentemente è semplice: Bonamassa prende a credito l’anima sinistra di Jimmy Page, Mr. Sherinian cuce, ricama e riempie gli spazi in maniera mai invasiva, il vecchio leone Glenn Hughes ruggisce come un ragazzino al suo debutto discografico mentre dietro ai tamburi Bonham detta le leggi del groove. Ci troviamo di fronte alla quintessenza del rock e su questo disco non ci sono riempitivi.

Addentrandomi nei meandri di IV, posso dire che il disco parte alla grande con ‘Collide’, un fantastico pezzo ‘rock’ dotato di un riffone groove che farà muovere il culo anche al più pigro nascosto in fondo alla sala concerti. Facile intuire, visto il grande impatto trascinante, che questo brano sarà usato come opening per gli spettacoli che i ‘magnifici quattro’ porteranno in giro per l’Europa a cominciare dall’inizio del prossimo anno. ‘Over My Head’ ci arriva dritta nelle orecchie regalandoci un coro indimenticabile! Questo è materiale radiofonico indiscutibile! Il brano in questione mostra l’output più commerciale senza per questo risultare stucchevole: confezionata e pronta per essere spedita in heavy-rotation dato che possiede tutte, ma proprio tutte le caratteristiche del grande singolo da airplay radiofonico, con il suo ritornello appariscente e al tempo stesso ruffiano fatto di tanta melodia. Da qui in poi il treno parte e non fa più fermate. Difatti si cambia decisamente registro con ‘The Last Song For My Resting Place’, lunga composizione arricchita da mandolino e violino…questo è il primo vero capolavoro dell’album! Questa canzone è dedicata a Wallace Hartley – violinista sul Titanic che continuò a suonare sino all’affondamento totale della grande imbarcazione britannica – e anche l’unica traccia che vede protagonista Bonamassa alla voce. Un brano dalle molteplici sfaccettature, con una progressione solista stratosferica in grado di regalare vere emozioni, merce rara in questi tempi. ‘The Cove’ è un’altra lunga ode che Hughes ha scritto per un argomento a lui caro: l’uccisione dei delfini. Una canzone suggestiva e, francamente, chiunque dubiti ancora che Bonamassa sia il chitarrista più versatile del pianeta, dovrà presto cambiare idea. ‘Sway’ è intenso incenso orientale e profuma intensamente di Led Zeppelin dalla prima all’ultima nota, mentre la poderosa ‘The Crow’ diventa un veicolo meraviglioso per Sherinian: qui il suono del suo magico organo richiama alla memoria la matrice Deep Purple Mark III e Mark IV. Hughes domina (voce e basso sono da emorragia cerebrale) e tutta la band crea un ipnotico vortice di assoli strumentali alternati, dipingendo così un emozionale quadro dai colori ora estremamente forti, ora ammalianti. ‘Wanderlust’ ha una bella melodia di pianoforte (tipica di Elton John) e presenta un suggestivo, struggente crescendo melodico. ‘Love Remains’ è dedicata alla memoria della madre di Hughes  – recentemente scomparsa – e ci seduce con un’armonia delicata e coinvolgente con quel refrain melodico da brividi. ‘Awake’ è figlia illegittima della ‘casa dei santi’ sporcata da qualche accenno funky, un terreno fertile per ‘The Voice of Rock’, che difatti canta a pieni polmoni. Chitarra e tastiere duettano e si scambiano intrecciandosi in una mirabile fuga di mezzanotte. “BCCIV” termina con la semi-ballad ‘When The Morning Comes’ – e come da copione – Hughes ci mette del suo, volando altissimo! Interprete divino che si staglia immortale sulle dolcissime note del pianoforte di Sherinian, per poi infine ridiscendere, per un finale da antologia! La parte centrale è caratterizzata da una lunga, splendida, intensa parte strumentale fino all”arrivo deciso del break dettato dalla chitarra di Bonamassa e la struttura della song subisce improvvisamente un drastico e repentino cambiamento, diventando molto più diretta. La coda strumentale poi è l’ABC del rock! Alta scuola! Registrato in soli sette giorni, la band è stata abbastanza attenta a non ripetere pedestremente gli album precedenti, “BCCIV” sembra più audace e dotato di alcuni riff pesanti, fascino melodico e cori altamente infettivi.

L’importanza di Kevin Shirley è enorme, il produttore ha guidato la band verso la giusta direzione ottenendo un grande risultato! In conclusione: Black Country Communion suggellano alla grande un lavoro importante, che dimostra ancora una volta che in giro ci sono ancora grandi interpreti in grado di scrivere vere opere che resisteranno alla prova del tempo! Oggi il quartetto è più ispirato che mai e quello che ho sin qui tentato di descrivere (ci ho provato, ma credetemi, non è stato assolutamente facile) è un altro capitolo fondamentale per la storia del rock che non può e non deve passare inosservato. Black Country Communion sono un preziosissimo diamante dal valore inestimabile per la musica rock tutta! Teniamoceli stretti…

Attenzione: tutto il disco crea forte dipendenza!!!

 

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