Recensione: Better Days

Di Fabio Vellata - 27 Ottobre 2018 - 0:01
Better Days
Band: Dion Bayman
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2018
Nazione:
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74

Bon Jovi, Marx, Adams.
E abbiamo detto tutto quel che serve. Abbiamo identificato in modo semplice, diretto e lampante quelli che sono i caratteri, le sfumature, le influenze, i tratti somatici della proposta offerta da Dion Bayman, artista e polistrumentista australiano che – dobbiamo ammetterlo – ci giunge alle orecchie come una novità assoluta a dispetto di una carriera che mette in bella mostra già altri tre album prima di questo “Better Days” appena uscito.

Una novità, va detto, piuttosto gradevole ed attraente. 
Adatta, diremmo quasi “attagliata”, nel soddisfare i gusti degli ascoltatori abituali di certo melodic rock giocato su tonalità soffuse, mai troppo aggressive o aspre.
AOR “westcoastiano” insomma, di quello costruito con l’idea ben precisa di modellarsi lungo i canoni di chi, in precedenza, ha saputo realizzare fortune e successi del genere, andando a cogliere ed intercettare i gusti di una larga fetta di pubblico affascinata da una forma di rock orecchiabile, morbido ed “amichevole”, con qualche bel giro di chitarra e ritornelli per lo più immediati e diretti.

Ed ecco che tornano in gioco, come da programma, i nomi citati in apertura. Bon Jovi, Richard Marx e Bryan Adams sono, per volere dello stesso Bayman, i termini di paragone cui far risalire stilemi e cadenze che ne innervano il songwriting, riscontrabili e ben evidenti in ognuna della dieci canzoni presenti in scaletta.
Non c’è molto di nuovo, dopo tutto. Considerazione che, alla luce di quanto riferito sin qui, appare finanche scontata e banale. Tuttavia lo scorrere assolutamente “liscio”, piacevole, quasi accomodante, delle varie tracce, permette di considerare questo “Better Days” come un’uscita convincente e per nulla priva di valore.
In effetti, messe in chiaro le prerogative che ne determinano i tratti e, conseguentemente, il tipo di audience cui è gioco forza rivolta, appare difficile non notare la cura con cui ogni aspetto è stato soppesato e messo a regime.
C’è una buona produzione di fondo, una veste grafica di ottimo livello, una presentazione, in senso ampio, molto ben confezionata. Evidente segnale di come Art of Melody, label nata da poco da una emanazione di Street Symphonies, abbia preso sin da subito a lavorare nel migliore dei modi.
Ci sono soprattutto e come già segnalato, buoni brani, costruiti con mestiere ed eleganza, facili da ascoltare e veloci da mandar giù come una bevanda rinfrescante e gradevole: “Ready for the Real Thing“, “Better Days“, “Leap of Faith” e “Pieces” un ascolto lo meritano senz’altro. 

Non tantissime “bollicine”, magari, ma una equilibrata sostanza di base ed uno spessore artistico tali da consentire al nuovo album di Bayman di posizionarsi in una fascia d’uscite medio-alta, ragionevolmente meritevole di buona accoglienza da parte dei frequentatori del genere.

Buon disco.

 

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