Recensione: Beyond Reality

Di Mauro Gelsomini - 11 Marzo 2003 - 0:00
Beyond Reality
Band: Dreamtale
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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60

Debut album per i power metallers finnici Petteri Rosenbom (batteria), Turkka Vuorinen (tastiere), Esa Orjatsalo (chitarra), Rami Keranen (voce e chitarra) e Alois Weimer (basso). Registrato ai Finnvox, gli studios di Timo Tolkki, “Beyond Reality” è l’ennesima uscita power-metal in una scena che più sembra soffocare per affollamento, più genera nuove creature, che spesso non risultano altro che cloni di cloni. E’ il caso dei Dreamtale? Probabilmente sì, visto che se non si può dire quasi nulla riguardo alle capacità tecniche dei cinque, molto potrei scrivere riguardo all’originalità e alla freschezza di idee della band.
L’album si apre con una lunga intro dai toni maestoso-decadenti, molto hollywoodiani. Non a caso è creditato un certo Hans Zimmer (autore di colonne sonore cinematografiche come “A Spasso Con Daisy”, “Omicidio Nel Vuoto”, “Allarme Rosso”, “Oltre Rangoon”, “Il Gladiatore”) tra i compositori. Il flanger che ricorda un po’ quello dello spot THX immette in “Memories Of Time”, scontatissima song di power/speed teutonico, ansiosa di arrivare al chorus orecchiabile. Con “Fallen Star” la storia non cambia, se non per il pathos più epico del ritornello, ottenuto grazie a cori più vigorosi e alla presenza di voci femminili nel bridge che acutizzano un po’ l’impatto del refrain. Il clavicembalo a là Stratovarius su “Heart’s Desire” cambia presto a vantaggio di un pianoforte, per un risultato che lascia alquanto interdetti: la strofa in up-tempo non giustifica un ritornello da ballad. In ogni caso continua con insistenza a ricorrere la melodia-tormentone dell’intro, arrangiata in diverse forme; anche questa scelta non mi è sembrata azzeccatissima, visto che la suddetta melodia non è affatto trascendentale, anzi, anch’essa sa di già sentito, e non lascia notare la “mano” di Zimmer nella creazione di atmosfere, piuttosto che di una semplice linea.
Molto Gamma Ray “Where The Rainbow”, con tanto di abbrivio techno sintetizzato: il pezzo è più fresco dei precedenti, e quantomeno godibile per allegria ed energia, soprattutto nelle strofe dove le chitarre di Esa e Rami riescono a fondere un feeling decisamente Running Wild; trascinante il solo e avvolgente il coro sul ritornello. Unica pecca la presenza delle solite female vocals che per me sono totalmente fuori luogo. Buona song anche la seguente “Time Of Fatherhood”, mid-tempo abbastanza piacevole, che purtroppo non riesce a travolgere, un po’ per mancanza di impatto sonoro, un po’ per la scontatezza a tratti sconcertante delle linee melodiche. Discorso analago potrebbe farsi per le veloci “Dreamland” e “Call Of The Wild”: le presenze dei mostri sacri incombono come fantasmi da cui i nostri proprio non riescono a liberarsi, ne’ con gli assidui cori femminili (sulla prima) né con effetti demoniaci sulle vocals di Rami (sulla seconda). Qualche sbavatura sul cantato di Rami peggiora la situazione su “Dance In The Twilight”, altro pezzo energico e veloce, interessante per l’alternanza di soluzioni ritmiche, dal saltarello all’hard rock… Peccato che il tutto duri troppo poco e sia comunque inserito nella straclassica struttura strofa-ritornello a tempi serrati. Le proposte sono pressoché inesistenti anche sulla Stratovarius oriented “Refuge From Reality”, che non sa fare altro che annoiare, prima, e innervosisce, poi. Morbosissima la ballatona di rito (ma qui è tutto di rito) “Silent Path”, che risultasse almeno melensa, avrebbe raggiunto uno scopo…
Con fatica si giunge alla conclusione di un album ottimo per qualità di registrazione ma scadente nei contenuti, con “Farewell…”, interamente cantata da Sanna Natunen, ospite femminile già apparsa nelle backing vocals dell’intero disco. C’è leggermente più pathos in questa song, si intravede uno spiraglio d’intimismo, grazie alla suadente voce dell’interprete, ma il ritornello si accosta pericolosamente a “Season Of Change” degli Stratovarius.
In definitiva, vi dico sinceramente che non ascolterò in futuro questo CD, dal momento che non mi ha lasciato nulla. La cosa più grave è che probabilmente fra qualche tempo lo confonderò con qualche altro, per cui non posso far altro che consigliare ai Dreamtale di rimboccarsi le maniche alla ricerca di un sound davvero personale, visto che le capacità tecniche lo permettono.

Tracklist:

1. The Dawn (Instrumental)  
2. Memories of Time
3. Fallen Star
4. Heart’s Desire
5. Where the Rainbow Ends
6. Time of Fatherhood
7. Dreamland
8. Call of the Wild
9. Dancing in the Twilight
10. Refuge from Reality
11. Silent Path
12. Farewell…

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