Recensione: Beyond Redemption

Di Francesco Sgrò - 11 Aprile 2015 - 0:00
Beyond Redemption
Band: Betoken
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2014
Nazione:
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65

Dopo ben quattordici anni di attività (esattamente al 2000 infatti risale la fondazione del gruppo), prosegue senza sosta la carriera musicale intrapresa dai Power Metallers nostrani Betoken, che a dieci anni di distanza dall’uscita del primo album (intitolato “The Gate Of Nothing” e rilasciato per l’Adrenaline Records), arrivano con fierezza al traguardo del quinto lavoro in studio, presentando questo “Beyond Redemption”.
Anticipato da una suggestiva copertina fumettistica, che potrebbe adattarsi perfettamente anche ad un albo targato “Dylan Dog”, il nuovo album del combo tricolore si presenta come un vortice di Power Metal oscuro e potente, reso ancor più epico dall’efficace tappeto tastieristico curato dal batterista Giulio Capone, abile nel conferire all’intera opera una sottile vena di teatralità, ottima nel rendere il tutto maggiormente dinamico ed interessante.

I primi istanti dell’iniziale “A Thirst For Knowledge”, riassumono alla perfezione quanto appena detto, bilanciando con precisione potenza e melodia, in un’intro sinfonica e decadente (la quale riesce anche a rievocare le splendide atmosfere tipiche dello stile compositivo di un musicista come Danny Elfman), che dopo pochi secondi, sfocia in una serie di riff sulfurei e taglienti, che fanno da sfondo alle solenni armonie vocali ben interpretate dal bravo vocalist, per una partenza risoluta e vincente.
La commistione fra sonorità Heavy e sinfoniche sembra funzionare molto bene anche nella gelida “Renounce”, caratterizzata da repentini cambi di tempo e d’atmosfera, ottimamente sorretti da una sezione ritmica impeccabile, ben evidenziata dall’ottima produzione che completa a dovere la cornice di un lavoro che prosegue sulle note della solenne “Quid Tu Moraris”, nuovo episodio che mostra tutta la bravura del gruppo italiano, perfettamente a proprio agio nel tessere un songwriting ben definito, non di facile assimilazione ed interessante allo stesso tempo.
The Man Who Would Be The Devil”, segue con coerenza il tracciato segnato dalle precedenti canzoni, ostentando una struttura intricata ed in continua evoluzione, resa ancor più prelibata dalla splendida esecuzione tecnica offerta dai singoli musicisti della band.
La successiva “Left Hand Choice”, ripete la formula compositiva adottata finora dal gruppo, mentre “Sparks Of Grace Betrayed” sorprende per le atmosfere mistiche ed orientaleggianti che ne caratterizzano l’essenza, per un risultato finale maestoso e squisitamente ipnotico.
Melodia e potenza continuano a coesistere in egual modo nella rasoiata di “Hellward”, che a sua volta precede l’inquietante e teatrale “Seven Deadly Sins”, musicalmente molto vicina a rievocare il classico sound di King Diamond nella sua carriera solistica.
La breve “Ab Urbe Corrupta”, mantiene inalterata l’atmosfera plumbea e sinistra che caratterizza l’anima dell’album e anticipa l’enigmatica “Lucifer’s Bless”, la quale avvia l’ascoltatore verso l’ultima parte del platter, che può così proseguire con la sostenuta “Point Of No Return”, nella quale è sempre evidenziato l’ottimo lavoro chitarristico svolto dai bravi Ivo Ricci e Michele De Ponti
Le atmosfere si fanno nuovamente più rilassate nella breve e fiera “Helen Of Troy” , la quale si rivela essere il preludio alle fasi finali dell’opera che si sublimano nelle note della potente “Damned Soul Insomnia” e soprattutto della breve ma intensa Title Track, la quale riesce a concludere con classe un album succulento e curato, ma forse non proprio di facile ascolto e di conseguenza (purtroppo), non adatto a tutti.

Francesco Sgrò

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