Recensione: Beyond The Iron Walls [Reissue]

Di Antonio Ferrari - 14 Aprile 2016 - 8:00
Beyond The Iron Walls [Reissue]
Band: Sacred Few
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2016
Nazione:
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60

Per chi, come il sottoscritto, nei primi anni Settanta era forse poco più che un’idea, il lavoro di ristampa da parte di piccole coraggiose etichette discogafiche è stata la sola opportunità di scoprire band semidimenticate dei gloriosi anni Ottanta, senza dover accendere un mutuo per procurarsi vinili ormai irreperibili: X-Caliber, Black Knight (consigliatissimi), i Dammaj, che con il loro Mutiny  regalarono al mondo una delle copertine più brutte di tutti i tempi (e che quindi a me piace tantissimo!). E’ chiaro, quindi, che al momento di dover scegliere cosa recensire tra i promo proposti dalla redazione, non potevo non far caso alla dicitura: Sacred Few“Beyond the Iron Walls” – 1985. Devo ammettere che non avevo mai sentito parlare di questi quattro statunitensi, con una vocalist donna, autori di un 7″ nel 1983 e di un full-length due anni più tardi. La ristampa in questione comprende questi due lavori ed altre quattro tracce mai pubblicate fino ad oggi.

A dispetto della provenienza a Stelle e Strisce, la loro proposta musicale è a mio avviso molto vicina alla prima NWOBHM, dunque tempi mai troppo veloci e chitarre con distorsioni “antiche” di certo non aiutate dalla produzione, che è quella che ci si può aspettare da un debutto dell’epoca. E questo ci potrebbe anche stare perchè ammanterebbe il tutto di quell’aura di leggenda che le scintillanti produzioni odierne ci hanno tolto. Nulla di trascendentale anche per quanto riguarda la tecnica; sezione ritmica piuttosto anonima, salvo qualche eccezione (il basso nella doomeggiante “Dream With Me”) e chitarre che svolgono più che discretamente il loro compito per tutto l’album, regalandoci a tratti riff non geniali, ma di sicuro effetto, come nella opener “Wildlife”. L’asolto scorre piuttosto piacevolmente senza troppi cali di tensione ma, ahimè, senza picchi compositivi degni di nota, spaziando dall’Heavy Metal abbastanza ordinario di “Running From Luck”, “Screaming Guitars” e della bella title track, a cavalcate ai limiti del doom di episodi come “Children of the Night”.

 
 Per quanto riguarda le tracce inedite c’è da dire che se da un lato la produzione peggiora in maniera netta, dall’altro i pezzi si mantengono sullo stesso livello sia qualitativo che stilistico; non mi è dato sapere se siano canzoni scartate per il full-length o registrate successivamente, ma “Gotta Believe” avrebbe forse meritato di essere presente sull’album al posto di alcuni episodi più piatti come “Sea of Thoughts”. 

      
Stesso discorso per i pezzi del demo del 1983, in cui la produzione torna ad essere accettabile. Buoni, soprattutto la trascinante “Low Rider” grazie alla voce di Ray Garsteck, a mio modo di vedere dotato di una timbrica più aggressiva e ruvida di Sandy Kruger che prese il suo posto sul full-length; non discuto la bravura della signorina, o signora (questo proprio lo ignoro!) Kruger, nè contesto il fatto che dietro al microfono ci sia una donna, semplicemente trovo la sua voce poco adatta al genere proposto, soprattutto se penso che in quegli stessi anni altre band si avvalevano di vere e proprie fuoriclasse del calibro di Doro Pesch e Leather Leone.

Tirando le somme un album senza alti nè bassi, forse un po’ monocorde, buono per chi apprezza certe sonorità un po’ datate o per collezionisti incalliti, ma nulla di memorabile o imperdibile.
Una domanda per chi ascolterà l’album: è solo una mia impressione o i Sacred Few non avevano la più pallida idea di come chiudere un brano e quindi ad un certo punto smettevano di suonare e basta?
 

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