Recensione: Beyond the underworld

Di Beppe Diana - 8 Marzo 2002 - 0:00
Beyond the underworld
Band: Valhalla
Etichetta:
Genere:
Anno: 2001
Nazione:
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60

Ennesima band a fregiarsi con il nome di Valhalla, come se ne sentivamo davvero la mancanza, questa volta il quintetto in questione arriva dal sud della Spagna, e dimostra se non altro d’avere un certo fegato cercando d’andare controcorrente rispetto ai clichè che vogliono le bands iberiche dell’ultima ondata, ispirarsi a modelli Maiden-iani usando come veicolo di comunicazione il cantato in lingua madre.

Infatti i Valhalla, oltre ad addottare nelle loro composizioni la lingua inglese, con risultati alquanto altalenanti per via di una dizione piuttosto scolastica, sembrano ispirarsi più che altro a bands come Blind Guardian e soprattutto Rhapsody, tanto che le atmosfere che si respirano in alcuni brani dei nostri sembrano uscire dai solchi di quel capolavoro a nome “Leggendary tales”.

Ma se i paladini del metallo italiano hanno dimostrato con l’ultimo mini cd di saper anche osare, i Valhalla dal canto loro non vanno oltre la riproposizione di stilemmi che hanno quel sapore del già sentito, dimostramo così d’essere l’ennesima band vittima della scarsa originalità che stà sempre più affliggendo il mercato del classic metal europeo.

Ben sette sono i brani propostici in questo “Beyond the underworld”, tutti comunque strutturalmente ben compatti e ad alta gradazione metallica anche se il songwriting del quinteto galiziano è molto snello e semplificato, il che fa si che i brani abbiano un impatto molto immediato e spontaneo facendo intravvedere qua e la barlumi di ottima tecnica esecutiva come quelli udibili sulla speed track “Eclipse”, sicuramente il brano più riuscito del lotto.

Forse un po’ più di personalità e un tentativo meno palese di sfruttare l’ondata epic/fantasy del power odierno avrebbero fatto alzare il valore di questo platter e dei Valhalla che, se non si decidernno ad ingranare la quinta, rimarranno per molto tempo fra le centinaia di bands relegate nel sempre più vasto calderone della mediocrità.

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