Recensione: Big Life

Di Giulio Martini - 7 Maggio 2014 - 19:12
Big Life
Band: Night Ranger
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 1987
Nazione:
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85

Correva l’anno 1987, anno storico nonché di fondamentale importanza per ogni amante dell’Hard & Heavy che si rispetti. Sulla scena imperversavano tutti le maggiori band con uscite diventate classici assoluti: si va da un certo “Hysteria” ad “Appetite For Destrucion”, da “Girls, Girls Girls” a “Back For The Attack”, da “Permanet Vacation” all’omonimo dei Whitesnake. Senza contare altri capolavori dell’anno precedente quali “The Final Countdown” o “Slippery When Wet”.
Questo solo per dare le coordinate principali in un panorama che, già ricchissimo di nomi, andava sempre più affollandosi con la nascita di una miriade di nuove band affamate di successo.

È in questo oceano ricchissimo mostri sacri che si ritrovarono a competere i Night Ranger, quintetto di San Francisco giunto ormai al suo quarto album dopo una prima tripletta davvero impareggiabile e qualche collaborazione con Hollywood riguardante alcune colonne sonore. Con “Dawn Patrol” (1982), “Midnight Madness” (1983) e “Seven Wishes” (1985), tre pezzi da “90”, i Night Ranger erano infatti meritatamente riusciti a raggiungere il successo e ad affermarsi come una delle più belle realtà sulla scena musicale dell’epoca.
Non era certo facile ripetersi su certi livelli altissimi dopo un tale trittico, specie ora che la competizione era davvero diventata serratissima.
Un altro fattore di cui tenere conto è lo spostarsi dell’attenzione del pubblico sempre più verso l’immagine da “bad boys” (a volte anche solo costruita a tavolino) incarnata da un numero sempre maggiore di band al seguito di giganti come Ratt o Mötley Crüe.

I Night Ranger decisero di non uniformarsi e di mantenere un’immagine più pulita e coerente con i loro inizi, puntando piuttosto sul loro trademark musicale: un Hard Rock graffiante e melodico incentrato su motivi che rimangono impressi senza risultare mai banali e su testi meno sbarazzini ma spesso più maturi rispetto a molte formazioni concorrenti. Il tutto contornato dai duelli chitarristici di Gillis e Watson, dall’avvicendarsi alla voce di Blades e Keagy e dal sapiente apporto tastieristico di Fitzgerald, quest’ultimo forse mai preponderante come in questo disco.
Ecco quindi che prende forma “Big Life”, un disco certamente pensato in grande e di elevata caratura, ma che non ebbe come sperato il successo dei suoi tre predecessori.
Oltre ai motivi già elencati, un’ulteriore causa del relativo insuccesso va senza dubbio cercata nella controversa scelta del primo singolo, ovvero “The Secret Of My Success”.
Questa traccia (scritta in origine da Blades come colonna sonora dell’omonimo film) è senza dubbio quella che si discosta maggiormente dal classico suono a cui erano abituati i fan e non riscosse molto gradimento, segnando in parte il destino di un album che nel complesso avrebbe meritato un riconoscimento ben diverso. Sorretta da un’incessante tappeto di tastiere molto pop-oriented contiene una buona prova vocale e un ritornello molto easy listening.

Il disco però non è certamente modellato sulla falsariga di questa canzone: basta premere play ed ecco che al primo posto si viene travolti dalle rasoiate chitarristiche dell’intro della title track, che lasciano presto il posto al sinuoso incedere del verso. Il tutto poi esplode in un refrain pomposo dove cori e tastiere regnano sovrani. Senza dubbio una delle canzoni più energiche e meglio riuscite del disco.
Al secondo posto ecco partire la frizzante “Color Of Your Smile”, rara e stupenda canzone d’amore uptempo che mette subito di buon umore. Anche qui le tastiere giocano un ruolo fondamentale e contribuiscono a dar vita a un’atmosfera colorata e allegra: è arrivato il weekend, sinonimo di divertimento, ma ecco che non ci troviamo di fronte a un testo che parla di alcol e spogliarelliste. Per i Night Ranger il divertimento passa in primo luogo attraverso il colore di un sorriso
complice di una ragazza. “Love Is Standing Near”, decisamente AOR oriented, segue al terzo posto proseguendo con merito il discorso romantico iniziato in precedenza e alternando un ritornello dolce ad un verso più pomposo.
Da sottolineare nuovamente la prova vocale che aiuta a tenere alto il livello qualitativo.
Si arriva così a “Rain Comes Crashing Down”, forse la vera punta di diamante del disco. Si tratta di una ballad atipica, dai toni malinconici e misteriosi.
Una sapiente introduzione di tastiere e rumori di pioggia crea un’atmosfera cupa che ci introduce ad un verso delicato e dal testo assolutamente mai banale o scontato. Il ritornello sorge piano per poi crescere di intensità, quasi a simulare l’effetto di un tuono, sviluppandosi su coordinate prettamente melodiche. Una canzone certamente maestosa e impossibile da dimenticare, arricchita anche da un lungo e triste assolo che si intreccia alle onnipresenti trame tastieristiche.

Dopo il primo singolo, di cui si è già discusso, è il turno di “Carry On”, canzone non priva di tastiere ma molto più guitaroriented e ruvida nel verso rispetto alle altre. Rapida e grintosa riesce a sgombrare la menti dalle nubi e a far tornare il sole a splendere.
I ritmi rallentano con l’inizio tambureggiante di “Let It Go”, canzone dai toni avvolgenti dove troviamo un interessante connubio tra la chitarra acustica e le sperimentali tastiere di Fitzgerald.
Il ritornello poi è progettato per rimanere impresso in mente.
In “I Know Tonight” scorre via piacevolmente grazie alle sue melodie orecchiabili su cui si staglia pulita la linea vocale di Blades. La canzone assume un carattere cadenzato e carico di promesse, ed è arricchita dall’assolo in cui si sfidano le due chitarre.
Il disco si chiude con un altro slow dalle sfumature romantiche e cariche di reminiscenza. Di nuovo, non si tratta di una ballad banale scritta per prassi. L’inizio, ricordando il suono di un carillon, sfocia in un malinconico primo verso; con l’ingresso della batteria il tutto poi si infiamma in un ritornello radioso in cui la voce di Kelly Keagy risplende dando una prova davvero magnifica. L’assolo è trascinante e le tastiere conferiscono un carattere a tratti trionfale.

Finisce così “Big Life”, quarto capitolo della saga scritta dai Night Ranger. Un disco molto sottovalutato che arriva certamente a competere con i suoi tre predecessori, collocandosi solo appena al di sotto di essi.
Con il suo minor successo iniziarono purtroppo il declino della band e i primi scricchiolii al suo interno che portarono alla fuoriuscita di Alan Fitzgerald nel successivo “Man In Motion”, ma questa è un’altra storia. Ci rimane una grande opera di keyboard-oriented Hard Rock melodico, un’altra validissima prova di uno dei migliori gruppi che abbiano mai cavalcato l’onda dei magici anni 80.

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