Recensione: Biomechanicals

Di Marco Donè - 23 Ottobre 2019 - 0:02
Biomechanicals
Band: Metalite
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2019
Nazione:
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55

I Metalite arrivano da Stoccolma e “Biomechanicals” è il loro secondo full length, il primo con alla voce la brava e avvenente Erica Ohlsson, che ha preso il posto della defezionaria Emma Bensing proprio nel corso di questo 2019. Il quintetto svedese è una delle frecce che un genere come il melodic metal può vantare al proprio arco, un genere che, grazie a band come i nostrani Temperance, gli Amaranthe e i The Dark Element, giusto per citare qualche nome, sembra ottenere sempre maggiore seguito e attenzione da parte di appassionati e addetti ai lavori.
Come spesso accade, però, quando una “via nuova” sembra essere tracciata, ci sono formazioni che ne gettano le basi e altre che invece si trovano a seguire – o inseguire – il trend del momento, cercando di ritagliarsi uno spazio all’interno della scena. Un processo che, inevitabilmente, porta a una sorta di inflazione del movimento stesso, con il rischio di immettere nel mercato lavori tutt’altro che eccelsi. Ed è in questo difficile scenario che i Metalite provano a giocare al meglio le proprie carte.

 

Con “Biomechanicals” i Nostri proseguono e approfondiscono il sentiero intrapreso nel 2017, con il debutto “Heroes in Time”. I Metalite dimostrano così di avere le idee chiare su quale sia la loro meta, quale direzione seguire per raggiungere il proprio obiettivo. L’album si rivela un disco curato, in grado di districarsi tra heavy-power metal, modern metal e una forte dose di pop. Le canzoni si muovono su partiture semplici, in cui le tastiere, ora più catchy, ora più pompose, risultano fondamentali nell’economia del platter, rubando, per certi versi, la scena agli altri strumenti. Le chitarre, infatti, che nell’universo metal, di solito, fanno la voce grossa, risultano molto curate nella fase solistica, dove il duo Premberg-Örnesved può esibire le proprie doti tecniche, mentre nelle strofe e nei ritornelli sembrano venire messe un po’ in secondo piano, limitandosi a svolgere il “classico” compitino. Queste soluzioni, però, risultano volute, in quanto permettono di creare il perfetto tappeto sonoro su cui la bella voce della già citata Erica Ohlsson può dare libero sfogo a delle linee vocali accattivanti, in continuo bilico tra power, hard rock e pop. Proprio le linee vocali si rivelano il punto di forza di “Biomechanicals”, dove melodia e quella sensazione di positività, trasmessa dal cantato, fanno il loro dovere, riuscendo a catturare l’ascoltatore e a creare quel feeling necessario per trasmettere emozioni.
Tutto bene, quindi? Non proprio… Già dal primo ascolto, arrivati più o meno a metà disco, ci si accorge che qualcosa non torna. Una sensazione che diventerà sempre più forte, ascolto dopo ascolto. L’album, infatti, nel suo essere semplice, nel suo puntare su delle linee vocali accattivanti e, in certi casi, “furbette” e ammiccanti, tende a diventare ripetitivo, non riuscendo più a stimolare e tenere viva l’attenzione dell’ascoltatore. Ogni traccia diventa così prevedibile, con le tastiere che entreranno proprio in quel fraseggio, con una batteria forse un po’ troppo lineare, con le linee vocali che saranno catchy proprio in quel determinato passaggio. Il disco, insomma, diventa subito di facile lettura, limitandone la sua durata alla prova del tempo. I Metalite provano ogni tanto a uscire dagli schemi, piazzando qua e là canzoni come ‘Eye of the Storm’ o ‘Social Butterfly’, tracce in cui viene dato maggiore rilievo alle chitarre ma, purtroppo, “Biomechanicals” non riesce a centrare il bersaglio.

 

Come considerare, quindi, la seconda fatica dei Metalite? Come un disco ben suonato e curato, dotato di un’ottima produzione ma, come approfondito in sede di analisi, è un album che dopo pochi ascolti si dimostra prevedibile e ripetitivo, un platter che tende a seguire i cliché del melodic metal, non riuscendo a spiccare, soprattutto se paragonato ad altri lavori dello stesso genere. Un vero peccato, perché la band dimostra di avere tutto quello che serve per poter emergere e lasciare un segno del proprio passaggio. I Metalite, forse, dovrebbero trovare il coraggio di osare un po’ di più, lasciare libero sfogo alla propria espressività e non limitarsi a seguire schemi collaudati. Se il quintetto svedese riuscirà ad attuare questa evoluzione, potrebbe regalarci dei platter di tutt’altra caratura.

 

Marco Donè

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