Recensione: Black in Mind

Di Abbadon - 18 Giugno 2003 - 0:00
Black in Mind
Band: Rage
Etichetta:
Genere:
Anno: 1995
Nazione:
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92

I Rage hanno appena varcato la soglia dei dieci anni di vita (nati nel 1984), e per rendere grande questo traguardo si mettono al lavoro per il loro dodicesimo album, EP esclusi. Dopo circa un anno di lavori, nel 1995 vede dunque la sua comparsa sui botteghini di tutta Europa “Black in Mind”. Ora, quando si dice Rage, la prima cosa che viene in mente è forse la loro capacità di saper cambiare e sviluppare il loro modo di suonare, senza tuttavia mai incappare in un passo falso. Si denota infatti abbastanza abbastanza chiaramente l’attitudine di Peavy Wagner e compagni nel corso della loro carriera : partiti come un gruppo piacevolmente “casinaro” e non avvezzo al power metal che stava prendendo forma giusto in quegli anni, lo stile musicale si uniforma nel corso del tempo, passando da dischi di “passaggio stilistico” e grandiosi come “Trapped” e “The Missing Link”, per arrivare ad un power non estroso come agli inizi ma dotato di una aggressività e cattiveria con pochi rivali nel campo. Black in Mind è appunto più che mai degno rappresentante di questo ultimo volto sonoro, e viene da molti (forse non a torto, anche se non è il mio album Rage preferito) considerato il miglior prodotto partorito dalla mente
del vecchio Peavy.  Analizziamolo (e ascoltiamolo) insieme.
In campo sonoro e ritmico ci troviamo di fronte a un vero e proprio schiacciasassi. La velocità è serrata, gli strumenti “picchiano” tantissimo le orecchie dell’ascoltatore, a partire la chitarra di uno strapositivo Sven Fisher, per arrivare a tutti gli altri strumenti usati dall’allora quartetto (da brividi : Peavy Wagner, Sven Fisher, Spiros e Chris Efthimiadis). Il sound è violento, tagliente, ma tutt’altro che grezzo, e vi sono anche dei buoni tratti melodici, soprattutto durante i refrain delle canzoni. Peavy canta davvero bene, con alternanza tra tonalità basse e alte, senza esagerare con gli acuti, che poco c’entrerebbero nel contesto complessivo. Il timbro vocale non è sporco ma cattivo e ruvido, e asseconda in pieno l’atmosfera e la carica che il disco vuole trasmettere. Sono presenti ben 14 canzoni, legate abbastanza bene fra di loro, quasi tutte con la medesima velocità (alta), e capaci di trasmettere una eccellente carica di energia.

Tanto per farci capire l’andazzo dell’album, Peavy ha pensato bene di farlo partire da quel vero e proprio rullo compressore che risponde al nome di “Black in Mind”. La title track riassume nel migliore dei modi tutto quello che si vuole sapere dell’omonimo disco. Roboante inizio, sonorità pesanti,
tiratissime, chitarra che giganteggia in tutta la sua mole, assolo dinamico e ubriacante. Song che in definitiva ti trapassa davvero da parte a parte come una lama. Altrettanto unica, distruttiva e spettacolare è “The Crawling Chaos”, forse il mio pezzo preferito dell’album. Altrettanto decisa ma meno
rapida della title track, The Crawling Chaos presenta strumenti suonati su tonalità più alte rispetto a Black in mind, ed è la tipica canzone che oltre a trasmettere rabbia riesce anche a dare divertimento e sballo, elementi che saranno fondamentali in “End of all days”, disco che uscirà un anno dopo il nostro. Splendidi tra l’altro il bridge (puro headbanging) e il refrain (da ballare). Appena un gradino sotto le precedenti due song troviamo “Alive but Dead”, che attacca con un arpeggio piuttosto particolare, per poi proseguire accompagnata da voce prima baritonale, e che si normalizza con lo scorrere del pezzo, che varia i suoi tempi da lento a roccioso mid tempo. Tremendo l’urlo di Peavy nella fase iniziale della buona, anche se non perfetta come le precedenti, esecuzione, che vanta però un grande assolo. Una campana e un violino aprono sinistramente “Sent by the Devil”, altra gran traccia, velocissima, squillante, con una batteria in grande evidenza. Intonatissimo e molto espressivo nella circostanza Wagner. Non grandissimo refrain, ma pazienza. Intro battente per la successiva “Shadow out of Time”, che però a mio avviso è nel complesso sottomedia rispetto alle precedenti canzoni ascoltate. Solito bel ritornello, pensato ed eseguito ottimamente, ed oscuro assolo, ma non molto di più. Bellissimo invece l’attacco di “A Spider’s Web”, soprattutto perchè la apparente calma racchiude una traccia di inaudita sonorità, forse un poco ripetitiva, ma
davvero pregevole nel suoi frangenti.
Se per ora le canzoni si sono susseguite in modo abbastanza lineare, all’ascolto di “In a Nameless Time” bisgona fermarsi qualche minuto, e riflettere attentamente. Un vento notturno e una chitarra dolce ma triste
aprono questa bellissima song, decisamente differente dalle precedenti e da quelle che verrano. Il ritmo non è serrato inizialmente, anzi, ma è ben cadenzato e potente, la voce è molto ispirata e accompagna dei passaggi melodici davvero degni di nota. E’ quasi impossibile non rimanere affascinati, specie a più ascolti, necessari per abituarsi ai cambi di ritmo che caratterizzano lo svolgimento della track, sicuramente tra le migliori mai scritte da Peavy Wagner. Nota che va fuori dal disco : “In a nameless time”, suonata in “Lingua Mortis” con l’orchestra, è quanto di più maestoso si possa sentire, una gemma con pochissimi rivali. L’album ritorna nei suoi canoni originari con “The Icecold hand of Destiny”, ovvero power tirato, di ottima qualità e sonorità, ma tremendamente godibile, come sempre soprattutto nel refrain. Alla nel complesso discreta “The Icecold…” segue l’eccellente “Forever”, che ha dalla sua una eccellente batteria, un bellissimo anche se breve assolo e, in alcuni tratti, delle belle trame melodiche, che non fanno tuttavia rinunciare alla massiccia dose di metallo. Buono anche il livello di “Until I Die”, molto più cruda rispetto alla precedente track, ma che trasmette una massiccia dose di rabbia ed energia, il che più o meno è quello che fa anche le seguenti “My Rage” e “Price of War”, che però sono più “piene” e leggermente più lenta nella sua esecuzione la prima, ed esuberante la seconda. Penultimo pezzo di Black in Mind è “Start!” ennesima composizione dirompente, che però forse pecca un pò di
ripetitività, eccezion fatta per l’ennesimo ottimo ritornello.
L’album viene chiuso da “All This Time”, song dalle favolose chitarre, che concludono in modo dolcissimo, del tutto impensato e diverso un disco che, come detto, rappresenta l’ennesimo colpo di genio di sua maestà Peavy Wagner, uno dei musicisti più estrosi e solidi sul panorama della scena metal.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Black in Mind
2) The Crawling Chaos
3) Alive but dead
4) Sent by the Devil
5) Shadow of the Time
6) A spider’s web
7) In a Nameless Time
8) The Icecold hand of destiny
9) Forever
10) Until I die
11) My Rage
12) The price of War
13) Start!
14) All this Time

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