Recensione: Black Is The Colour

Di Francesco Sgrò - 4 Ottobre 2013 - 18:56
Black Is The Colour
Band: Arven
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2013
Nazione:
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75

Il batterista belga Till Felden è il musicista più fortunato al mondo: in pochi, infatti, potrebbero dire di avere l’opportunità di suonare in compagnia di cinque splendide fanciulle, con le quali costituire il nucleo di una band metal. In questo caso, i teutonici Arven.
“Black Is The Colour” è il titolo scelto dal combo germanico per la seconda release in carriera, pubblicata sotto l’ala protettrice della Massacre Records, già responsabile della distribuzione del debut album (“Music Of Light”, uscito nel 2011).

Al contrario della stragrande maggioranza de produzioni power, nessuna intro strumentale arriva ad addolcire le trame musicali di un album che parte con la diretta “Believe”, canzone semplice, incentrata su velocità sostenute e costruita interamente sul chitarrismo affidato alle brave ed affascinanti Anastasia Schmidt e Ines Thomè, abili nel costruire ottimi riff corposi e melodici, su cui si adagiano le gradevoli ed orecchiabili melodie vocali, orchestrate dalla vocalist Carina Hanselmann, sostenute a loro volta, dal prezioso contributo tastieristico della tastierista Lena Yatsula.
La successiva “Don’t Look Back”, si concentra su velocità più controllate, mantenendo la giusta dose di potenza, su cui la dolce ed energica voce della cantante, come miele, filtra nelle orecchie del fruitore, allestendo ancora delle ottime melodie prima di cedere il passo a buone soluzioni strumentali in cui sono nuovamente le due chitarre ad emergere significativamente.
Un velo di malinconia cala leggero sulle note della melodica “Rainsong”, canzone in cui, questa volta sono le tastiere ad emergere sulle chitarre (che regalano comunque delle ottime melodie), rendendo l’opera estremamente sinfonica e gradevole.
Una produzione cristallina e curata, esalta al meglio le capacità del sestetto germanico, che con la teatrale “The One For Me”, riesce con successo ad impreziosire la propria proposta musicale avvalendosi di una struttura compositiva maggiormente articolata, nella quale la voce della bella vocalist si mescola a quella di Stefan Schmidt (singer dei connazionali Van Canto), dando vita ad una performance intensa e ricca di pathos.

Un alone di tristezza avvolge ancora le note della piacevole “All I Got”, nuovamente guidata dalle tastiere della già menzionata Lena Yatsula e ben arrangiata dal resto della band tedesca: anche in questa occasione, la band non manca di condire la proposta con un sottile tocco di elegante teatralità – mai fuori luogo – prima di lasciarsi andare ad una breve sfuriata Heavy in un rapido ed efficace intermezzo.
L’album si tinge di tenebrose atmosfere dark nella potente “My Darkest Dream”, traccia che dimostra come il gruppo germanico riesca a destreggiarsi anche su tonalità ben più cupe ed energiche rispetto a quanto ascoltato finora.
Gli Arven tornano poi all’epico con l’ottima “Cercle D’Emeraude“, evocativo brano strumentale esaltato dai maestosi riff delle due chitarre, sostenuti da sontuose orchestrazioni e da una sezione ritmica impeccabile: elementi che segnano forse il miglior momento dell’intero platter.
Ottima anche la sognante ed elettro-acustica “In Your Dreams”, impreziosita come sempre da un’ottima prova dell’affascinante vocalist.

Nel finale torna a farsi viva una maggiore aggressività in “Fireside Stories”, la quale sembra quasi provenire da un’opera targata Avantasia, mantenendo così alto il valore di un lavoro che può proseguire sulle note della malinconica “My Fall”, struggente e disperata, nonché di pregevole fattura, anche se non utile nell’aggiungere qualcosa di nuovo a quanto ascoltato sinora.
Stesso copione pure per la buona title track che, pur essendo in verità piacevole, si assesta su di uno schema compositivo gia ampiamente sfruttato.

Gli Arven salutano il proprio pubblico con la melodica e conclusiva “Ride On”, piacevole ballad acustica realizzata con la collaborazione di Benjamin Reiter (chitarrista/cantante degli Awaiting Dawn): un modo inaspettatamente dolce per terminare questa seconda opera, soddisfacente, seppur con qualche minimo alone di fondo in termini di ripetitività e spunti davvero personali.

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