Recensione: Black Magic

Di Andrea Poletti - 5 Marzo 2016 - 1:00
Black Magic
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2016
Nazione:
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59

I Brimstone Coven sono al terzo album, approdano dopo soli quattro anni di attività alla corte della Metal Blade componendo Black Magic, come da loro ammissione, immersi da candele, incenso e solitudine sotto effetto di marijuana. Un mix che non a tutti piacerà mentre altri troveranno delizioso. I gusti del singolo non si discutono e andiamo a guardare che cosa può offrire sotto l’aspetto prettamente musicale questo interessante platter. Oppure preferite un sussidiario delle sostanze stupefacenti in circolo sul mercato oggigiorno? A voi la scelta.

La metanfetamina, comunemente detta meth, a differenza dell’anfetamina agisce sul rilascio delle catecolamine a livello sinaptico…

No, ho sbagliato scusate.

Terzo album in studio dicevamo, terzo album in quattro anni d’attività per questa frizzante band proveniente dal West Virgina, che cerca in ogni modo di adottare un sound molto simile ad alcuni idoli mondiali di molti giovani all’ascolto quali Black Sabbath, Led Zeppelin e Pentagram inserendoci contemporaneamente qualche sfumatura dell’occult rock contemporaneo sulla falsariga dei Blood Ceremony o dei The Devil’s Blood. Non di certo un male anche perché oramai lo sappiamo tutti, ed evitiamo di fare nomi ben specifici, il “vintage” infarcito di cover e tematiche pseudo-sataniche va tanto di moda; un nuovo nucleo di bands si è ben formato ed in crescita esponenziale visto il successo che pare alcuni stiano riscontrando. Peccato che non tutti abbiano ricevuto da madre natura delle doti che possano essere definite quali invidiabili, andando a parare di qua e di là senza far emergere quel carisma che diventa fondamentale al fine di una buona uscita discografica odierna. I Brimstone Coven hanno tutte le carte in regola sia chiaro, peccato che non riescano a sfruttarle a dovere componendo canzoni che pur risultando di piacevole ascolto ed di facile appiglio, non riesco ad immergerti nelle atmosfere che vorrebbero far uscire dalle musiche presenti. Se il combo iniziale formato dalla Titletrack e Black Unicorn riesce a scaldare gli animi attraverso un groove dinamico ed articolato già con la successiva Beyond the Astral le tempistiche iniziano a rallentare discretamente con un mid tempo monotematico, al limite del tribale, che si incanala lungo le meningi per non uscirne più. Certamente la vecchia scuola anni settanta è ben presente nei nostri, riuscendo a creare ottime complicità tra i differenti membri che collaborano dinamicamente quasi ad occhi chiusi; la vera star di Black Magic però è il bassista D’Cagna, che diventata frontman senza voce della band. Su di lui ogni singolo brano prende forma, plasmando lo scorrere dei minuti come fosse un mastro burattinaio in grado di tessere ogni algoritmo che le note possano offrire; è sempre bello una volta ogni tanto trovare un basista che non sta nel retrovie facendo solo comparsa diventando piuttosto attore protagonista. As We Fall è un lentaccio che come da prassi presenzia nella prima metà dell’album, diventando il vero spartiacque tra i primi brani ottimamente eseguiti e quella parte centrale che non regala molte emozioni, attraverso anonime prestazioni leggermente sottotono, senza quel mordente che ci si poteva aspettare un volta che i primi minuti scivolano via in maniera più che gradevole. In ordine abbiamo Upon the Mountain, The Seer e Forsaken che non registrano particolari funzioni vitali tra le sinapsi dell’ascoltatore; buone tracce, che prendono a piene mani da Osbourne & Co, portando malaugaratamente al limite dello sfinimento, desiderando skippare il prima possibile sperando in qualcosa di ipoteticamente meglio. Con alcuni tratti dei The Doors che si innestano qua e là, mischiato a questo e quel periodo del doom d’annata, non riusciamo proprio a comprendere come si speri di lasciare il segno in un mercato inflazionato e saturo a puntino. Anonime e senza appiglio, quasi non ci si rende conto della loro esistenza alla fine dell’ascolto complessivo. A dispetto di quello appena scritto, altri brani quali Slow Death con il suo up-tempo groovy e scanzonato, l’altro lentaccio The Plague e la conclusiva The Eldest Tree riescono a far apprezzare la band attraverso piccole ma importanti soluzioni stilistiche che diventano preziosi gioielli in mezzo ad un ipotetico buio complessivo (ascoltarsi il passaggio da 2:58 a 4:16 di The Eldest Tree quale controprova). Certamente la Metal Blade, quale pilastro del metal mondiale, fornisce un giusto pretesto per riuscire a farsi conoscere e farsi qualche show dal vivo in più rispetto al passato, ma certamente serve anche la grinta a supporto di questa misera fama che pare proprio mancare al 100% nei Brimstone Coven. Magari invece che tre album in soli quattro anni di attività si potrebbe pensare ad avere qualche idea da sfruttare al meglio e prendersi un piccolo ma intenso periodo di pausa. Ma chi siamo noi per dire questo?

Salutiamoci qui ricordando a tutti che fondamentalmente non è necessario seguire il percorso che ha spinto i Brimstone Coven a comporre Black Magic per comporre musica di questo calibro. Le sostanze stupefacenti saranno anche state eventualmente d’aiuto, ma se il risultato è quello che siamo qui a descrivere consigliamo loro un utilizzo maggiore per amplificare il rage psichedelico, oppure paradossalmente smettere definitivamente per provare ad implementare le proprie “skills” compositive. Sostanzialmente discreto ma una volta che mettiamo su gli Electric Wizard, che racchiudono quanto di meglio del settore contemporaneo in questione, tutto questo passa in secondo piano.

E guidate con prudenza.

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