Recensione: Black Sabbath – Remastered

Di Keledan - 14 Settembre 2001 - 0:00
Black Sabbath – Remastered
Etichetta:
Genere:
Anno: 1970
Nazione:
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100

Black Sabbath – Remastered from original tapes.
Dove tutto nacque…
Quando i Deep Purple suonavano ancora pop, e i Zeppelin erano ancora legati
al folk-blues, come se formatisi dal nulla già adulti e consapevoli,
apparvero i Sabbath. Il primo singolo, Evil Woman(Don’t Play Your Game With
Me)
, non fece un gran successo, ma da allora iniziò il passaparola,
qualcosa di nuovo era apparso sulla scena musicale.

Uscì venerdì 13 febbbraio 1970, registrato in 3 giorni per un
costo di 600 sterline.
L’impatto fu devastante, tanto da entrare immediatamente nelle Top 10 britanniche,
in compagnia di Simon and Garfunkel, Beatles, The Who. La musica oscura ed incalzante,
la croce rovesciata stampata all’interno della copertina, un ritmo trascinato
da batteria e basso, con riff “mostruosi e monolitici” di chitarra
distorta… vi ricorda qualcosa?

La formazione originale era composta da John Michael “Ozzy” Osbourne
(voce), Frank Anthony “Tony” Iommi (chitarra), Terrence Michael “Geezer”
Butler (basso), William Thomas Ward (batteria).

E così fu che, mentre intere generazioni si sollazzavano con i teneri Beatles,
nasceva l’arte oscura dell’Heavy Metal. Black Sabbath è un album meraviglioso,
che ascolto da anni e non finirò mai di ascoltare.
In apertura c’è la title track, Black Sabbath, la canzone che per prima
dava un segno che i tempi erano cambiati… una tempesta, campane, il resoconto
delirante di una notte oscura, nella quale il senso del buio va ben oltre la
semplice mancanza di luce…
Trascinante.
Da canzoni quali ‘The Number of the Beast’ dei Maiden si capisce come siano
in molti ad aver ascoltato questo pezzo tante volte quanto me.
The Wizard è il pezzo che forse più di tutti ricorda le orgini blues
del gruppo, con pezzi di fisarmonica che trascinano in un buon ritmo, un testo
quasi da fiaba, ma rimane sempre gradevole.
Behind the Wall of Sleep si fa ascoltare e ci accompagna verso N.I.B.
(
Nativity in black?), in assoluto la mia preferita, veloce (per i
tempi), melodica, un testo oscuro e demoniaco. A dire il vero, pare che dei
4 solo Geezer Butler s’interessasse alle arti nere e all’occultismo, ma la prima
etichetta dei Sabbat spinse molto su questo tasto, aiutando creare l’aura oscura
che circonderà i sabbath per parecchio tempo.

“Now I have you with me under my power, our love grows stronger with every hour,
look into my eyes, You’ll see who I am, my name’s Lucifer, please take my hand…”

“Ora ti ho qui, con me, sottoposta al mio potere, il nostro amore cresce
più forte di ora in ora,
guarda nei miei occhi, vedrai chi sono, il mio nome è Lucifero, dai prendi
la mia mano…”

Queste strofa e un degno assolo ci portano a Evil Woman, forse la song
più leggerina dell’album, comunque piacevole e orecchiabile.
Sleeping village, è un viaggio, ti prende per mano e ti accompagna verso
i ritmi blues di Warning, forse il pezzo che mi convince di meno dell’album,
troppo dispersivo e a volte troppo psichedelico. Non per niente si tratta di
una cover, l’unica nella carriera per i Sabbath. L’album si chiude con il robusto
e jazzoso Wicked world, che ci riporta di forza nel mondo dei primi Sabbath,
fatti di sound monolitico e voce tagliente.

A questo album do il massimo dei voti, a chi di voi storce il naso, posso solo
dire se non fosse stato per questi quattro uomini adesso ascolteremmo tutti
quanti Gigi D’Alessio. Diciamo che se la storia e la leggenda del metal
non v’interessano, e se il ritmo più blando che riuscite a sopportare è quello
dei Marduk, abbassate tranquillamente il voto anche di 40 punti, anzi, non compratelo.
Nessuno ha mai detto che per apprezzare una musica bisogna ripercorrerne per
forza le origini più remote ma…
se oggi apprezzate band che si presentano col volto tinto, e fanno i dannati
sul palco, sappiate che negli anni 70 ci fu qualcuno che spianò loro
la strada. I Sabbath aggredirono il pubblico, scioccarono i genitori, rapirono
milioni di fans nel loro mondo di tenebre.

Se vi state chiedendo perchè ho etichettato questo album heavy metal…
sappiate che non me ne frega niente di ogni teoria, così sta scritto.

Hail to the GrandFathers of Metal.

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