Recensione: Blackmail The Nation

Di Stefano Usardi - 10 Agosto 2016 - 16:49
Blackmail The Nation
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2015
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
65

“Blackmail the Nation” è il titolo dell’album di esordio degli Ultimate Holocaust, trio varesino nato ufficialmente verso la fine del 2010 e dedito ad un Thrash Metal piuttosto veloce e furibondo. Più volte sono stati citati i Sodom come ideali padri putativi dell’italico terzetto, complice il fatto che i tre si siano dedicati per un certo periodo a coverizzarne i pezzi, e sebbene ci siano delle somiglianze con la proposta della band dello “zio Tom” è altrettanto vero che il thrash, pur creando spesso sentieri stilistici definibili attraverso coordinate, diciamo così, geografiche (scuola bay area, teutonica, etc. etc.), in quanto genere musicale vive di sfumature, e sovente basta un nonnulla nello svolgimento di una traccia per scompaginare i giochi e le definizioni.

La prima traccia, introdotta da frequenze disturbate e chitarre lente ed atmosferiche, ci presenta l’agente U.L.T.I.M.A.T.E., protagonista di questo concept spionistico, sorta di incrocio tra James Bond e Ghost in the Shell: tempo neanche un minuto e il brano parte in quarta con un classico rifferama thrash e blast beat come se piovesse, mentre Bianchi inizia a grattugiarsi le corde vocali e ad investire l’ascoltatore col suo vocione raschiante, la cui assimilazione (lo ammetto) mi ha dato più di un problema essendo praticamente una via di mezzo tra scream e soprattutto growl, modo di cantare a me poco congeniale. Ad ogni modo “U.L.T.I.M.A.T.E. (Protector of the World)” procede piuttosto bene, rallentando sensibilmente al terzo minuto e aprendo la strada a un bell’assolo, prima di tornare al cieco martellamento che ci accompagna fino alla fine del brano.
“Out of Frequencies” procede perlopiù lungo la stessa rotta: riff muscolari, batteria martellante e cantante che sputa le tonsille, ma qui si nota una maggiore presenza di melodia, soprattutto nella seconda metà del brano e nel breve assolo in cui riecheggia l’attitudine da Bay Area. La title-track si rilassa un pelino, decomprimendo i riff e concedendo un momento di respiro anche grazie ad un incedere sì rapido e battagliero, ma meno asfissiante, con Floyd che si permette addirittura qualche svolazzo ogni tanto tra una frustata di doppio pedale e l’altra. Dopo quest’ottima prova si torna a picchiare duro con un brano debitore dell’old school americana, “Reportage”, in cui i continui echi slayeriani vengono mitigati da brevi ed improvvise schegge di melodia prima di tornare a perdersi nel maelström sonoro del terzetto varesino.
“Gambler’s Theatre”, per contro, sembra uscita da un album dei Kreator da tanto è compatta e quadrata, e l’intermezzo in italiano dopo il rallentamento centrale e l’assolo non fa che aumentare ulteriormente il nichilismo del brano. Parimenti, anche la seguente “Lord of Replication” sembra fare del martellamento sonoro il suo stendardo, con ottimi riff ed un ritmo incalzante, ma qualcosa nel cantato fin troppo ritmato di Bianchi nel ritornello ne smorza un po’ l’effetto, almeno per quanto mi riguarda, consegnandomi una canzone che sarebbe potuta essere uno dei gioiellini dell’album, ma che invece si deve accontentare di una posizione fuori dal podio. Di tutt’altro tenore è invece “Pentagram of Terrorism”, nel cui svolgimento si torna alla tempesta sonora che già aveva sferzato “Gambler’s…”, ma qui addizionata da un paio di sconfinamenti in terreni più consoni al death per appesantire ancor di più il suono (si veda ad esempio il rallentamento centrale). Anche con “Silicon and Blood” i nostri piazzano una buona zampata, combinando rapide martellate e riff più cadenzati per un classico thrash vecchia scuola, che però risulta a mio avviso penalizzato da una produzione un po’ troppo vecchia scuola (e a questo punto non so se si sia trattato di una scelta voluta o meno, visto che lo stesso problema si riscontra piuttosto spesso nell’album) che tende ad impastare troppo i suoni e a coprire la voce.
Il compito di sigillare questo “Blackmail the Nation” è affidato a “Escape from Nightmare”, canzone lenta ed ossessiva che solo raramente si concede il lusso di cambiare marcia mettendo in seconda. Metafore automobilistiche a parte, utili solo per chiarire la velocità molto contenuta del pezzo in questione, devo dire che il brano si lascia ascoltare senza problemi mantenendo intatto il suo fascino e, anche se forse il finale poteva essere un pelino più stringato, ciò non va ad inficiare il valore di un pezzo molto atmosferico posto in chiusura di un bel disco d’esordio, penalizzato forse da una produzione, come dicevo, un po’ troppo datata che, seppur coerente con l’attitudine grezza e feroce del gruppo, alla fine ne smorza un po’ l’impatto.

A conti fatti “Blackmail the Nation” è un buon disco thrash, rabbioso e muscolare, che sebbene non particolarmente originale (cosa comunque piuttosto difficile con un genere come questo) farà comunque la felicità degli amanti del metallo più ruvido e corposo.
 

Ultimi album di Ultimate Holocaust