Recensione: Blackwater Park (LE)

Di Onirica - 9 Ottobre 2002 - 0:00
Blackwater Park (LE)
Band: Opeth
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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92

Con questa recensione penso di presentarvi una delle prime sorprendenti uscite del nuovo millennio. Sbaglio? Il gruppo di cui sto parlando fa musica da più di dieci anni attorno alla figura immensa di Mikael Akerfeldt, e nonostante i cambi di formazione non perde l’attimo fuggente per sfornare un nuovo capolavoro dopo l’altro. Citarne uno fra tutti sarebbe impossibile, trascrivere l’intera discografia insensato, descrivere questa musica tentando un discorso generale un grande errore. Per questa serie di motivi, mi accingo alla recensione dell’edizione limitata di Blackwater Park: dischi alla mano, verranno tirate le somme relative ai primi 5 dischi ufficiali, considerando l’evoluzione del gruppo dalle prime sonorità fino alla pubblicazione di questa edizione speciale contenente due brani inediti e un video.

Non ancora un classico. Presto un classico.

CD1

Sfumando verso l’alto, le chitarre iniziano due percorsi disperati intrecciandosi e sovrapponendosi dopo pochi secondi sulla doppiacassa di Martin Lopez, la voce di Mikael chiarisce le regole del gioco con il consueto growl caldo e poderoso, ed il signor Mendez si conferma bassista del gruppo contrastando il suono acido delle chitarre con un basso veloce, tutt’altro che semplice accompagnatore. La musica si ferma, le corde si schiariscono la voce e le distorsioni ci abbandonano per qualche secondo, lasciando spazio ai primi cantati puliti del disco con The Leaper Affinity. Una tempesta mostruosa di riff in cui è un piacere affogare. Con un pianoforte che fa perdere definitivamente la testa, si conclude il primo brano: ricordo la prima volta che ho avuto l’onore di ascoltarlo: stanco, sfiancato, eccitato, spaventato da tanta buona musica tutta insieme.

Adesso facciamo un piccolo esperimento chiarificatore. Prendiamo tutte le seconde tracce dei 5 dischi ufficiali incisi in studio dal gruppo svedese ed inseriamole in ordine cronologico all’interno di un unico 650 MB. Scelgo proprio la seconda traccia perchè considerando l’intera discografia, tutti i brani seduti al secondo banco possono ritenersi fra i più rappresentativi di ogni release (sottolineo: fra i più). Lasciamo cuocere per la bellezza di 48 minuti e 36 secondi.

1. Under The Weeping Moon (Orchid)
2. The Night and The Silent Water (Morningrise)
3. April Ethereal (MAYH)
4. Godhead’s Lament (Still Life)
5. Bleak (Blacwater Park)

La cavalcata stilistica di questo gruppo è fuori dal normale. Le due colonne portanti dell’evento con la O maiuscola, Peter Lindgren e Mikael Akerfeldt, attraversano gli anni novanta superando le avversità che ogni gruppo deve affrontare per uscire allo scoperto e le burrasche proprie della band, senza mai mollare la presa, ma migliorando da qualsiasi punto di vista con il passare del tempo. Nel 1997 il grande bassista Johan DeFarfalla e il batterista Anders Nordin non compaiono nella formazione che registra MAYH, è il periodo forse più difficile: Mikael è costretto a registrare anche le parti di basso (cosa non è in grado di fare?) mentre Lopez prende posto alla batteria. Il risultato è quello del disco più discusso, ma magnifico ormai per tradizione. Quando Martin Mendez entra definitivamente a far parte degli Opeth non rimane che ascoltare quella perla che è Still Life, coscienti della forza che questo combo è riuscito ad assumere e riassumere in Mikael e Peter.
Esce Blackwater Park ed il gioco è fatto. Delizioso connubio di tutto quello che è stato il sapore delle precedenti release, l’ultima uscita conserva il grezzume di Orchid, la freschezza diabolica di Still Life, le atmosfere gelide di Morningrise, la potenza e la rapidità dei riff taglienti di MAYH. Prendiamo Bleak appunto: il suono è spumeggiante ed incisivo, il riffing graffiante, la batteria offre un’ottima scenografia e nel complesso il brano testimonia un ben determinato sviluppo artistico, grazie anche a novità come lenti assoli di chitarra elettrica sotto chitarra classica e voce pulita. Eccellente.

The Drapery Falls si distingue per le chitarre più struggenti e le distorsioni prolungate, all’interno di una trama dove il basso non esita a farsi sentire insistentemente percorrendo strade tutt’altro che parallele. La struttura di questo lungo brano è abbastanza inconsueta: se nei primi minuti troviamo il cantato pulito e ritmiche non molto veloci, superando i cinque minuti, gli Opeth inseriscono una lunga strofa in growl che lentamente prende velocità fino a fermarsi di colpo con le chitarre classiche ed il pulito armonizzato di Mikael. Altro pezzo che non posso ignorare prima della conclusiva titletrack, The Funeral Portrait. Spietato, angosciante. Il riff iniziale perseguita la durata totale di questa sesta traccia, al centro è imbarazzante il feeling che le due chitarre dimostrano di aver raggiunto, mentre un lungo assolo ci accompagna per mano verso la fine.  

Esausto giungo a Blackwater Park. La traccia forse più innovativa dell’intero album, resta comunque strettamente legata alle sette che precedono per qualsiasi punto di vista, dai suoni utilizzati all’atmosfera che riesce ad evocare. Dopo un’introduzione carica di energia, per quasi tre minuti si abbandona alla solitudine di una chitarra elettrica che compie qualche giro confuso attorno alle sue corde. Il testo si riferisce non proprio affettuosamente al mondo che ci circonda e vede come protagonista la figura di un artista che ha la possibilità di descriverlo in tutti i suoi aspetti più insopportabili: ritiene di essere vittima di un’era di morte ma non si sente parte di tutto ciò che lo circonda, e non ha paura di denunciare una realtà corrosa dalla malattia dell’uomo perchè si tratta della realtà e dell’uomo con cui si è spesso costretti a vivere. Ma non è finita. Il brano prende nuovamente quota con una tirata estenuante fino alla fine, fino al termine che secondo il sottoscritto diventerà storico:

Sick liaisons raised this monumental mark
The sun sets forever over Blackwater park…

CD2

Il secondo disco contiene due brani inediti stupendi. Niente growl, nessuna distorsione massacrante. Quasi dieci minuti di estasi rilassante cui nessuno può rinunciare: col cervello incastrato nello stereo, mi concentro sulla presentazione di due nuovi sogni, al termine dei quali non mi sembra di ricordare nient’altro oltre che una voce celestiale (la stessa di To Bid You Farewell) ed il consueto arpeggio di chitarra che cambia vita e prende nuova forma con lo scorrere dei secondi. Still Day Beneath The Sun lascia senza fiato e grazie al titolo abbastanza lungo permette di partecipare all’esecuzione vocale del tristissimo ritornello sin dal primo ascolto, in un momento (vi assicuro) veramente emozionante. La stessa tranquillità, lo stesso gelo incalzante si può incontrare nel primo come nel secondo pezzo, con la differenza che la seconda traccia si rivela una ripresa del primo disco, questa volta nutrita del cantato pulito di Mikael: Patterns In The Ivy II riflette il freddo pungente che l’intero album trasmette sfruttando sempre il suono classico della chitarra e aggiungendo tenebrose note di chitarra elettrica che si muovono dietro le quinte ad arricchire l’atmosfera.

Per concludere, non resta che dare una curiosa sbirciatina al video. Gli Opeth ci danno la possibilità di assistere al retroscena delle registrazioni di questo indimenticabile album, proponendo anche scene di vita quotidiana accompagnate da una colonna sonora d’eccezione, idea certo non originale ma comunque da apprezzare: con quest’ultima release, la città della luna (questo il significato del termine Opeth, tratto da un libro di Wilbur Smith) esce finalmente allo scoperto sigillando il successo accumulato durante tutti questi anni in Europa e non solo, permettendo a quattro musicisti di livello, il lusso di una Limited Edition dopo il tripudio della critica. Sono felice, felice da morire per Mikael, capostipite del gruppo svedese nonchè autore di tutti i testi e di tutta la musica insieme al gruppo (e senza): nonostante i cattivi presagi degli inizi ed i continui cambi di line-up, un genio della sua portata è riuscito a crederci fino in fondo dimostrando che il successo dipende solo dal modo in cui guardiamo la musica negli occhi mentre pian piano sembra scivolare via dalle nostre mani. Nel video vedrete sorridere questo uomo come mai si è visto prima. E voi, siete disposti a mollare la presa? Le orecchie insensibili sanno a chi mi riferisco… questa non è solo arte, ma un modello e la legge che da esso si deduce.

Andrea’Onirica’Perdichizzi

TrackList:

CD1
1. The Leper Affinity
2. Bleak
3. Harvest
4. The Drapery Falls
5. Dirge For November
6. The Funeral Portrait
7. Patterns In The Ivy
8. Blackwater Park

CD2
1. Still Day Beneath The Sun
2. Patterns In The Ivy II
3. Harvest (video)

Quanto ho pagato questa occasione speciale? NO COMMENT

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