Recensione: Bleed to Death

Di Daniele D'Adamo - 22 Giugno 2017 - 0:00
Bleed to Death
Band: Aposento
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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80

Incredibile ma vero: una band storica, perlomeno in terra iberica, come gli Aposento, nati nel lontano 1990 e fautori di death metal ubicato ai massimi livelli tecnico-artistici, con “Bleed to Death” raggiunge il traguardo del… secondo full-length in carriera. Certo, dal 1997 al 2012 la band ha dormito sotto le ceneri, purtuttavia tale difficoltà a farsi valere è davvero sintomatica dell’attuale tendenza mordi e fuggi da parte di coloro che si avvicinano a un CD di musica.

Gli Aposento, difatti, appartengono alla schiera delle formazioni che tengono alto l’onore del death metal. Assieme a Campioni come Asphyx, God Dethroned, Vader, Suffocation e pochi altri. Perché? Perché hanno quel quid in più che gli altri non hanno. Quel qualcosa in più tale da rendere grande un album. Di sollevarlo da una mediocrità altrimenti segnata. Una questione di pelle, di anima, di cuore.

Manolo Sáez e i suoi tre compagni (quattro, prima del recente abbandono del secondo chitarrista Pispas) appartengono a questa razza. Incurante delle difficoltà ambientali nonché di quelle relative a mantenere stabile la line-up, anzi quasi rafforzata dalle asperità, superate brillantemente con un lavoro davvero ben fatto. “Bleed to Death”. Manifesto dell’intransigenza death, di quella profonda attitudine che trasforma una semplice passione in un modo di vivere, in una ragione per aver voglia di mettere giù i piedi dal letto, al mattino, e lottare. Lottare per tirare avanti, lottare per riuscire a realizzare il sogno di pubblicare dischi e, poi, di andare in tour.

L’attacco devastante di ‘Bleeding Flesh’ non lascia scampo a niente e nessuno: immediatamente, si comprende con chi si ha a che fare. Una band in palla, capace di mischiare vecchio e nuovo, capace mettere al tappeto anche le giovani leve. Basta porre attenzione sullo spettacolare break centrale dell’opener-track, per comprenderlo: distruzione allo stato puro, perfetto bilanciamento fra mortale aggressività e matura riflessività. Le note scorrono sciolte, possenti, vigorose, impossibile resistere all’headbanging!

Rallentamenti, repentine accelerazioni, ritmi semplici intersecati a quelli complessi, blast-beats a ondate. C’è tutto. A parte il mostruoso muro di suono costruito dal pazzesco riffing di Sáez, si rivela molto bravo il nuovo cantante, Mark Bersek. Pur non discostandosi mai da un rabbioso growling, molto cupo e ossessivo, riesce comunque a proporre delle linee vocali sempre diverse, variegate, attente al tema musicale cui si sovrappongono. Un esempio di come sia un’arma vincente, quella di avere fra i membri un vocalist concentrato esclusivamente sullo strumento primigenio dell’essere umano: l’ugola.

Ottimo il songwriting, per il quale si può iterare quando già scritto per Bersek. Senza strafare, cioè, gli Aposento forgiano dieci brani perfettamente aderenti al loro stile ma variandone costantemente l’andatura, il mood, la struttura. Niente di progressivo, sia chiaro: death, death e ancora death. Violentissimo, da trance ipnotica quanto la velocità diverge (‘Portrait of a Killer’) e i blast-beats tirano sonori ceffoni. Ma anche ragionato, malsano, morboso (‘The Divine Art of Torture’).

“Bleed to Death” è in definitiva un’opera per tutti, anche per coloro che, non essendo appassionati, desiderano comunque toccare con mano lo stato dell’arte attuale in materia di death metal.

Daniele dani66 D’Adamo

 

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