Recensione: Blood Of Saints

Di Stefano Burini - 24 Maggio 2012 - 0:00
Blood Of Saints
Band: Engel
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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57

Tavolta, partendo da quello che per altri è stato un punto d’arrivo e continuando a viaggiare e camminare, si può arrivare veramente lontano, così come si può rischiare di perdere la bussola, senza aver più modo di capire dove ci si trova e ricordando a stento perché e da dove ci si è messi in cammino.

Rimanendo entro metafora, gli Engel, formazione svedese nata da una costola degli In Flames, quel Niclas Engelin che ha sempre gravitato attorno alla band di Göteborg fino ad entrarne ufficialmente nei ranghi nel 2011, hanno i mezzi e il potenziale per arrivare lontanissimo ma, durante il cammino, le troppe tappe paiono in varie occasioni rallentarli, distrarli e mandarli fuori strada.Il punto di partenza a livello di coordinate sonore è (o dovrebbe essere) il death metal melodico di matrice scandinava di metà anni ’90, quello associato dai più all’ormai mitico tridente composto da In Flames, At The Gates e Dark Tranquillity; in realtà tra le note di “Blood Of Saints” si sentono in maniera decisamente più nitida gli ultimi In Flames e Soilwork e, a livello di arrangiamenti e suoni anche qualcosa dei Kamelot da “The Black Halo” in poi.

Le sonorità gelide ed “analogiche” di “The Jester Race”, di “Slaughter Of the Soul” o, ancora, di “The Gallery” sono solo un lontano ricordo; il sound degli Engel è viceversa digitale, industriale ed elettronico, addirittura con degli accenni dub, peraltro il più delle volte pretestuosi e appiccicati in maniera posticcia come un parapetto in ferro battuto su un grattacielo di vetro. Niente a che vedere, dunque, con il (più o meno apprezzabile) nu-dub-metal proposto dai Korn di “The Path Of Totality”, nel quale, al dil à della riuscita, si notava una maggiore volontà di tentare una reale fusione tra i due mondi. Persino il growl/screaming lacerante di gente come Mikael Stanne o il cantato gutturale old school di Matti Kärki, spariscono per lasciare spazio all’approccio più moderno e melodico di Magnus Klavborn, forse l’unico elemento di reale spicco, con il suo vocalismo polivalente, ora melodico (30%), ora incazzato (70%), ma sempre molto solido e tecnico.

“Ma allora dov’è il death metal?” si chiederanno i fanatici della scena svedese, e magari anche quelli del metalcore dei primordi. Semplice: da nessuna parte. Questo genere, questa musica proposta oggigiorno da miriadi di giovani musicisti, tra cui gli Engel, e ancora priva di un nome, nonostante non sia certo una novità di pochi giorni o mesi, viene tuttora etichettata come melodic death metal, ma sia che si prendano come riferimento i seminali Carcass di “Heartwork” o le citate band svedesi, la distanza che vi è tra questi due (sotto)generi è la stessa che c’è tra il blues e l’heavy metal.

Forse ci si dovrebbe semplicemente convincere che, dato l’alto tasso di violenza sonora presente anche in realtà teoricamente innocue come Alter Bridge, Shinedown e compagnia, che oggi ciò che suonano gli Engel (ma anche gli In Flames, i Soilwork e mille altri) può essere al più etichettato come heavy metal, nel senso più lato possibile del termine. Un po’ come al cinema: ciò che spaventava trenta o quarant’anni fa ai tempi de L’Esorcista o di “Rosemary’s Baby”, oggi quasi fa sorridere se paragonato a quanto viene sbattuto in prime time in molte serie per la tv che si spacciano per semplici thriller o crime story: cambia il contesto e cambiano dunque i parametri di giudizio.

Fatto questo lungo, ma doveroso, preambolo, che i più nostalgici avranno scientemente abbandonato dopo poche righe e ancor meno parole chiave, va altrettanto rimarcato che “Blood Of Saints” non è in ogni caso un album completamente da cestinare. E’ sufficiente, per esempio, ascoltarlo anche una sola volta per capire che i ragazzi ci sanno fare e che la Season Of Mist non ha di certo lesinato mezzi e fondi nel produrre questo album, infatti il packaging è davvero professionale, dall’artwork, curato e d’effetto, fino alla produzione, pulita, potente e, come detto, al passo coi tempi. A latitare sono l’originalità, la personalità e un filo conduttore preciso e definito.

“Question Your Place” potrebbe essere un ipotetico mix industrial/dubstep, ma la componente dub è relegata, per quasi tutta la durata del brano, al ruolo di orpello che raramente si fonde con la vera essenza del brano, forse solo nella reprise del riff principale intorno al minuto e mezzo, risultando per il resto del tempo un addobbo estemporaneo, di quelli che, passata l’ondata dei vari Skrillex e Flux Pavillion, non farà altro che invecchiare prematuramente il sound degli Engel. Restano come detto, l’ottima produzione e una prova da subito notevole da parte di Klavborn, melodica ma in grado di mantenere, almeno per ora, l’asticella al di sopra di band più che discutibili come i Sonic Syndicate.

Con “Frontline”, Feel Afraid” e “Numb” vengono messi completamente da parte gli inserti elettronici e ci troviamo di fronte a tre brani dinamici, piacevoli e decisamente In Flames-oriented, dal riffing, ai suoni agli assoli e persino nelle performance di un Klavborn più che mai frideniano, più dalle parti di “Soundtrack To Your Escape” che non dell’opaco “Sounds Of A Playground Fading”. “Cash King” riporta a galla, più o meno dal nulla in cui era scomparsa dopo l’opener, l’elettronica, ma di nuovo, senza troppa convinzione; il brano è veloce e movimentato, a metà tra In Flames e Kamelot, cantata quasi interamente in pulito, orecchiabile e a presa rapida, un potenziale singolo di grande successo.

“Fino a qui tutto bene”, la citazione più famosa de “L’Odio” di Mathieu Kassovitz, “Fino a qui tutto bene”. Ma ora saranno dolori.

Dopo una partenza dub/industrialoide “One Good Thing” si lascia andare all’ennesimo ritornello ultra melodico, passabile ma a conti fatti stucchevole; la title track, ripesca un riff che potrebbe essere un out-take di “The Jester Race” così come un cantato, finalmente, di nuovo aggressivo sulle strofe, prima però  di “calare le brache” su uno dei refrain più scontati di tutto l’album. “Down To Nothing” è di nuovo Flames-clone ma, come al solito, con un pizzico di melodia ammiccante in più; forse, a questo punto, ciò che riesce meglio a Engelin, Klavborn, Olausson e compagnia, mentre “Drama Queen” potrebbe essere un pezzo dei vecchi 30 Seconds To Mars, fatto che di per sé non rappresenta necessariamente un male; sarebbe forse il caso, viceversa, di riflettere sulla coerenza di un gruppo che si definisce “melodic death” e finisce per mascherare ritornelli magari anche carucci e easy-listening dietro a schitarrate e drumming finto cattivi.

Il peggio deve tuttavia ancora arrivare: “In Darkness” è un orrore unico: un mix a dir poco sconclusionato di “death” ed elettronica affossato da una linea vocale powerereggiante tronfia e sgraziata come non mai e da assoli millenote che più banali e scontanti non si può. Senza ombra di dubbio il punto di gran lunga più basso di un lavoro altrimenti, fino a questo punto, quantomeno dignitoso, seppur tra alti e bassi. Chiude “Journey’s End”, un metalcore canonico ed innocuo ma tutto sommato decente che, se da un lato potrebbe far rivalutare i vituperati Bullet For My Valentine, ha quantomeno il merito di rialzare leggermente la media dopo l’ascolto della disastrosa “In Darkness”.

Che dire? L’album in sé si ascolta e presenta cinque-sei tracce di buon livello, ma il giudizio, sicuramente severo, non può non tener conto del fatto che si sta parlando di una band composta da musicisti esperti e non da ragazzini alle prime armi e che il tentativo di arruffianarsi l’uditorio meno esperto con un miscuglio di più o meno tutto quanto va per la maggiore in questi anni è troppo, troppo evidente. Come anticipato, gli Engel sono dunque una band dal potenziale notevole, le cui qualità emergono talvolta in maniera prepotente ma che, purtroppo, altrettante volte si perde in un marasma fatto di troppe influenze messe insieme in maniera molto spesso piaciona e raffazzonata.

Stefano Burini

 

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Tracklist

01.Question Your Place    03:43

02.Frontline    03:03

03.Feel Afraid    03:13

04.Numb    02:59

05.Cash King    04:49

06.One Good Thing    03:27

07.Blood Of Saints    03:21

08.Down To Nothing    03:37

09.Drama Queen    03:23

10.In Darkness    03:12

11.Journey’s End    04:58

 

Line Up

Magnus Klavborn    Voce

Niclas Engelin    Chitarre

Marcus Sunneson    Chitarre

Steve Drennan    Bass

Jimmy Olausson    Drums

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