Recensione: Bogefod

Di Andrea Poletti - 14 Marzo 2016 - 1:00
Bogefod
Band: Sarke
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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Torolv Bogefod è un personaggio della saga Islandese Eyrbyggja, scritta e composta nel tredicesimo secolo per mano di un autore mai definito; la leggenda vuole che Torlov dopo una fine atroce, resuscita dalla sua tomba e nelle sembianze di non-morto va in giro per villaggi a seminare morti e devastazioni come mai in precedenza. Un personaggio scomodo e sinistro che ha dato spunto ai Sarke per concepire questo nuovo quarto album della loro carriera. Per chi non si fosse mai interessato a questa formazione possiamo definirgliela come “Underground-superstar-black-metal-band”; al suo interno infatti sono possibili ritrovare il mastermind Sarke già facente parte dei Khold, dei Tulus e in sede live degli Old Man’s Child, Steinar Gudersen che ha militato nei Satyricon per i live e nei mai dimenticati Spiral Architect, Anders Hunstad tastierista live dei Satyricon e un certo Nocturno Culto in qualità di vocalist, che di sicuro non ha bisogno di presentazioni. A tutto questo ansamblè di bella gente aggiungiamoci che su Bogefod, come nei precedenti albums, dietro le pelli ci siede un signore di nome Asgeir Mickelson, che come i più sapranno ha un curriculum di notevole interesse che non ha senso nemmeno di essere citato. Solo la lettura della Line-up basta a mettere la pelle d’oca e far salire l’acquolina ad ogni amante del black di scuola Norvegese; per tutti gli altri che invece sanno già di cosa parliamo, ed hanno ascoltato in passato qualche album dei nostri, possiamo dire con tutta onestà che non c’è nulla di nuovo sotto il sole fondamentalmente, il lupo perde il pelo ma non il vizio. I Sarke hanno un potenziale enorme ma come sempre riescono a sfruttarlo purtroppo solamente al cinquanta percento, finendo sempre a comporre albums che “possono ma non vogliono”, con grande rammarico per il pubblico presente in sala. Veniamo al dunque.

Un mix di sapori dal retrogusto vintage dove alcune delle più grandi bands contemporanee e non provenienti dalla Norvegia si uniscono per dare forma ai Sarke, questo potrebbe essere il resoconto e la sintesi del tutto: un grande, gigantesco meltin’ pot dove la Scandinavia si unisce per un unico scopo. Le ipotesi concettuali su cui si basa questa band sono ottimamente strutturate e di alto prestigio, è il come vengono finalizzate che le portano a diventare fini a se stesse, senza lasciare il segno, stupendosi amaramente vedendo il potenziale in campo. Basta ascoltare la combo d’apertura formata da Taken e Blood of Man per riuscire a comprendere molto di quello che sarà l’andazzo dell’album, dove una combustione di sfuriate tipicamente black n’roll e di rallentamenti al cardiopalma si incontrano e si scontrano per tutta la durata delle nove tracce. La voce di Nocturno Culto è splendidamente amalgamata e riflette alla perfezione sia le sensazione che le musiche costruiscono minuto dopo minuto; il drumming di Mickelson è preciso, chirurgico e minimale senza mai andare a strafare e surclassare gli altri strumenti. Una verve quasi punk che si intravede tra le sonorità si confonde con aperture melodiche pregevoli, piccoli dettagli, infinitesimali dettagli che diventano “chicche” che i Sarke oggi riescono ad offrire per ampliare lo spettro compositivo. Peccato che ttte queste ottime idee siano fini a se stesse e si concludano in un silenzio epocale lasciando perplessi e con un grande punto interrogativo sul capo; come fossero tagliate e tolte di quelle risorse che dovevano ancora essere espresse, come costruite parzialmente. Se questa doppietta probabilmente non lascia prevede ottime possibilità è con la successiva Barrow of Torolv che finalmente le carte vengono allo scoperto, riuscendo veramente a comprendere il fine di Bogefod; un semi black-doom rallentato che si inerpica infido e serpentino lungo le storie dell’ Eyrbyggja, dove miti e leggende diventano simili al reale. Certamente nei minuti che man mano si andranno a susseguire non ci si troverà di fronte a veri e propri stravolgimenti, ma certamente la composizione delle singole tracce andrà a perdere quella verve allegra e scanzonata per concentrarsi maggiormente sui tempi dilatati e atmosferici. The Wicked’s Transient Sleep seppur parte e finisce in black n’roll ha una porzione centrale notevolmente ispirata con le tastiere che diventano fondamentali alla riuscita di un’ottimo brano; così la successiva Burn è melodica, intelligente e di forte impatto con lo stacco a 2:24 molto intenso, dove riusciamo a comprendere molto di più di ciò che appare solamente alla superficie della band. Le ultime due Evil Heir e Sunken seguono lo stesso percorso di quelle già citate, non aggiungo e non tolgono nulla di più all’appena trascorso; riescono a spiccare sulle altre per giochi di contrasti perchè introdotte dalla splendida traccia intitolata Drawining. Un intermezzo con la sola voce della magistrale Beate Amundsen di tre minuti e mezzo che lascia senza fiato; un canto onirico e celestiale che avvolge i padiglioni auricolari mentre quasi ci si dimentica essere all’interno di un album prettamente black, paradossalmente potrebbe essere per alcuni la migliore del lotto. Cosa ha che non funziona al meglio dunque Bogefod? Il concept e le tematiche trattate non si allineano alla perfezione con le musiche composte, la sensazione che molte delle tracce presentate siano state trattate in maniera leggermente approssimativa in certe porzioni, dove la disponibilità riscontrata alla base non è stata sviluppata al meglio, terzo ma non per importanza la line-up con la storia e il prestigio che la contraddistingue pare avere tirato un pò i remi in barca, avendo scritto il compitino e nulla più.

Buono ma non di più questo nuovo capitolo in casa Sarke, che a prescindere dai difetti sotto gli occhi di tutti, diventa ad oggi la migliore uscita della band. Probabilmente il futuro è sempre più lento, sempre più atmosferico e melodico per i nostri, lasciando ipoteticamente indietro la moda del black n’roll, che ad oggi non offre nulla di più che qualche applauso distratto. Chi vivrà vedrà, ma senza peli sulla lingua possiamo dire che mostrando solamente queste utopiche potenzialità si rimane avvolti e soffocati in quel limbo che può solo diventare man mano dimenticatoio.

 

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