Recensione: Bombs Away

Di Mauro Gelsomini - 31 Marzo 2003 - 0:00
Bombs Away
Band: Wine Spirit
Etichetta:
Genere:
Anno: 2001
Nazione:
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87

Finalmente! Diranno in molti.
E’ proprio il caso di dirlo, visto che “Bombs Away” giunge sulle nostre pagine a quasi due anni di distanza dalla sua uscita ufficiale per motivi di distribbuzione.
La ricerca di quest’album è iniziata nel 2001 (praticamente in concomitanza con la release) in occasione del Gods Of Metal, quando fui letteralmente svegliato dall’esibizione del trio formato da Graziano Demurtas (Il Conte, alla chitarra), Alberto Bollati (el Guapo, al basso) e Corrado Ciceri (CC Nail, alla batteria). In un Gods dove riuscii ad ammirare solo gli stellari Judas Priest, i Wine Spirit mi lasciarono praticamente senza fiato. Mi guardavo intorno spaesato alla ricerca di sguardi amici che mi spiegassero chi fossero quei tre fenomeni in grado di trasmettere una tale energia e un tale entusiasmo alle 11 di mattina.
Ebbene, dopo diverse peripezie sono entrato in contatto con Il Conte, che mi ha spedito una copia di “Bombs Away”, e finalmente ho potuto riascoltare ciò che mi aveva rapito quella domenica di giugno del 2001. Il rock’n’roll muscolare dei W.S. parte con la tiratissima “Off My Head”, sulla scia di “Speed At Night” di Ronnie James Dio, e prosegue con il classic metal di “Voyager” e “Tail Gunner”. Il trittico iniziale è disarmante, e preannuncia subito quale sarà il leit-motif di questo disco. Denim & leather, si diceva una volta, quando ancora esisteva chi non si vergognava di appartenere ad un genere di nicchia e suonava col cuore; sto parlando di W.A.S.P., Motorhead, Ratt, Rough Cutt, Riot, Dokken, e tutta quella schiera di band sfrontate ed intransigenti, dal sound provocatorio, acido, dannatamente trascinante, che non scendevano mai a compromessi tra musica e music business.
Per gli amanti degli eighties quindi questo dovrebbe essere una sorta di elisir, anche se dietro la macchina da guerra Wine Spirit ci sono tre musicisti di caratura superiore, in grado di esprimere attraverso un genere che apparentemente non offre carta bianca a virtuosismi esasperati, una prova tecnica straordinaria, a partire dal basso di El Guapo sulla conclusiva “Proud To Be Loud”, per proseguire con le funamboliche sfuriate chitarristiche del Conte che tocca forse il top con il flamenco di “Short Hair Rocker”, senza nulla togliere alle innumerevoli scale pentatoniche di cui “Bombs Away” è disseminato. Dietro di loro CC Nail è un terremoto vivente, che dal vivo mi ha ricordato in più occasioni lo stile di Mikkey Dee (King Diamond, Motorhead).
Il Conte ed El Guapo si alternano dietro i microfoni, tra controcanti e contrappunti di grande effetto e dal retrogusto glam che non fa mai male, soprattutto quando ai concerti scodellano una serie impressionante di cover (oltre a riproporre praticamente per intero “Bombs Away”): “Burn” dei Deep Purple, “Livin’ Lovin’ Mad” e “Rock And Roll” dei Led Zeppelin, “Speed King” e “Kill The King” dei Rainbow, “Breaking The Law” dei Judas Priest, “Juice” di Steve Vai, “Sailing Ships” di Coverdale, “Swords And Tequila” dei Riot, nonché “Highway To Hell” e “Thunderstruck” degli Ac/Dc…
Non spenderò mai abbastanza parole per invogliarvi a supportare uno dei pochi act nostrani ancora legati a quel sano hard’n’heavy senza compromessi e senza un vero e proprio ispiratore (devo continuare? Van Halen, Faith No More, Alice Cooper, fermatemi o li scrivo tutti!!!), ma con un caposaldo – l’Heavy Metal – che mi rincuora riguardo alla sua immortalità. E se c’è ancora qualcuno che non ha nulla di meglio da fare che intavolare filippiche sulla presunta morte del mio genere preferito, mi permetto di ascoltarlo con il sorriso sulle labbra e la musica dei Wine Spirit nelle orecchie.

Tracklist:

1. Of My Head
2. Voyager
3. Tail Gunner
4. R.A.W. Suite
5. Freedom
6. Wine Spirit
7. Short hair Rocker
8. Orangut-Angus
9. Damned Clockstronkes
10. Wasted Sunset
11. Bass-tard
12. Proud to be Loud

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