Recensione: Break Down The Gate

Di Fabio Vellata - 13 Novembre 2019 - 0:01
Break Down The Gate
Band: Bullring
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2019
Nazione:
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72

Un volto conosciuto alle cronache AOR è quello che si cela dietro alla fondazione dei nostrani Bullring, power trio dedito ad un hard rock arcigno e moderno che arriva con “Break Down The Gate” al proverbiale traguardo del disco d’esordio per Street Symphonies Records.

Il volto noto è quello di Luca Ferraresi, batterista di lungo corso che abbiamo avuto modo di apprezzare in epoche meno recenti per l’opera svolta con i melodici Perfect View, band con la quale ha potuto rendere manifesta la propria bravura mediante la pubblicazione di ben tre album editi per etichette differenti nell’arco di quasi un decennio.

Aspirazioni volte ad un suono più ruvido e risoluto, sono quelle che hanno probabilmente spinto Ferraresi a lasciare i Perfect View per cercare nuova fortuna e stimoli con un nuovo progetto, rivolto ad un versante decisamente più minaccioso e “rapace” della musica (hard) rock.
Sono nati così i Bullring, band costruita assieme a Davide Pola – chitarrista chiaramente influenzato dall’epopea dei Guns n’Roses e da un certo Zakk Wylde – ed al bassista / cantante Remo Ferrari, un passato speso tra collaborazioni illustri e partecipazioni importanti. Un’alleanza subito benedetta dalla affidabile etichetta italiana e foriera di un album d’esordio piuttosto solido, ancora perfettibile in alcuni frangenti, ma sicuramente significativo, a tratti convincente e riuscito nella ricerca di un buon equilibrio tra ruvida modernità e qualche sprazzo maggiormente devoto alla tradizione.

Il risultato non è, ad essere onesti, per nulla malvagio e pone in evidenza una band con discrete qualità in campo compositivo, supportate da una cifra tecnica interessante in special modo per quanto al riguardo delle sei corde, amministrate da Pola in modo efficace e “gustoso”.
Le influenze disperse a spasso tra Guns, Black Label Society, Alter Bridge, Pearl Jam, Audioslave e Black Stone Cherry sono evidenti, così come rimane ancora percepibile – al netto di un profilo che vuol essere aspro e “polveroso” – il lato ascrivibile alla militanza di Ferraresi in ambienti AOR, laddove appare sempre e comunque evidente l’indulgenza verso qualche concessione melodica e di facile ascolto.

Un taglio hard rock moderno e groovy che ultimamente ha incontrato molto i favori del pubblico, senza dubbio utile nel veicolare ai Bullring più di un consenso, in virtù di una serie di canzoni piuttosto veloci e scorrevoli, cui manca forse solo una qualità di suoni più scintillante e profonda per aumentare la potenza d’impatto e suscitare maggiore piacere d’ascolto. 
Purtroppo, in un ambiente inflazionato ed ipertrofico quanto è, allo stato attuale, quello della scena rock ed in tempi di ascolti “mordi e fuggi”, le speranze di successo per una buona band di belle speranze sono sempre più risicate: in “Break Down the Gate” ci sono, ad ogni modo, alcuni spunti interessanti, pezzi validi e momenti positivi.
Non manca qualche filler (gli ultimi due brani “I’m Too Old” e “Idea 4“, ad esempio) che appesantiscono un po’ l’agilità di un disco che spara le cartucce migliori nella parte iniziale. 

La partenza riservata a canzoni come “Are You Shining“, “You’re Just What You Are Looking For“, “My Darkest Shadow” e “Violet’s Song” lascia intravedere il potenziale di un gruppo provvisto di discreta personalità, cui potrebbero giovare un songwriting più omogeno e – ahinoi – un po’ di fortuna per poter emergere dalle sabbie mobili dell’underground odierno.

 

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