Recensione: Breaking the Silence

Di Abbadon - 27 Aprile 2004 - 0:00
Breaking the Silence
Band: Heathen
Etichetta:
Genere:
Anno: 1987
Nazione:
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85

Tra le band di grande talento che hanno raccolto decisamente meno di quanto si sarebbero meritato, gli Heathen rientrano a pieno diritto. Infatti questo combo, originario della Bay Area, nei suoi album si è sempre distinto per una ottima musica, ottima ma che finiva strangolata (metaforicamente parlando) da gruppi conterranei che semplicemente erano migliori o più sponsorizzati. Nel nostro caso, visto che parliamo di San Francisco e quindi di musica Thrash del secondo lustro degli anni ottanta, la storia risulta essere più che mai veritiera, visto l’incredibile vivaio della zona (senza fare nomi, visto che si conoscono). Questo è un peccato perché porta a rendere praticamente sconosciuti artisti e opere da grande spolvero, in questo caso  gli Heathen e il loro esordio (demo escluso) “Breaking the Silence”. Premesso che non è che la band abbia sfornato decine di dischi (solo un demo, “Pray for Death”, e due album finora, a breve è atteso un terzo) inizio dicendo subito che per quanto mi concerne “Breaking the Silence” è senza dubbio il miglior disco della casa (anche se alcuni preferiscono “Victims of Deception”). Basta sentirlo anche solo pochi secondi per capire che ci troviamo di fronte a un lavoro non convenzionale eppure perfettamente classificabile come puro Thrash, che alterna ottima tecnica ad un tasso di cattiveria decisamente fuori dal comune. Molto rari gli intermezzi melodici (ma comunque ben innestati quando presenti), a favore ovviamente di sfurianti riffs e cavalcate di lead guitar, frangenti che i due chitarristi Doug Piercy e Lee Altus intrecciano alla perfezione fra di loro. Sugli scudi anche la sezione ritmica data dal bassista Mike Jastremsky ma soprattutto dall’eccellente prestazione di Carl Sacco dietro le pelli. Menzione particolare bisogna muoverla al cantante, Dave Godfrey, per una voce che si discosta abbastanza marcatamente da quella dei cantanti del suo settore. Infatti la timbrica, che per inciso rende e non poco, è piuttosto pulita e chiara, pur mantenendo alta la tensione ogniqualvolta si sente (personalmente mi ricorda DeFeis, poi magari sbaglio). La sostanza prodotta dai cinque ometti appena descritti è costituita da 8 canzoni (9 nella versione rimasterizzata, che si avvale della bonus track “Heathen”), alcune buone, altre vere e proprie scariche di cattiveria, piccole gemme compositive ed esecutive di gran valore. Iniziamo subito molto bene con l’intro a “Death by Hanging”, una lead guitar sparata su tonalità e scale altissime, preludio al roccioso ed irruento riff di chitarra ritmica (piuttosto Kill’em alliano se mi permettete il paragone). Si sente la carica avvolgere l’ascoltatore, e pur nella linearità del brano (intervallato ogni tanto da preziosismi e stridii della chitarra solista, vedi assolo ma anche altri episodi), non ci si annoia di certo. Non si è certo da meno (anzi direi che siamo meglio) con la seconda “Goblin’s Blade”, canzone molto fantasy (in titolo e liriche), che però si mantiene decisamente affilata e tagliente. Aiuta molto il cantato, che, in quanto piuttosto comprensibile, permette ad un ascoltatore che mastica un po’ di lingue di seguire tranquillamente la storia (con testo davanti và) senza perdersi. Da segnalare una sfrenata batteria e un bellissimo assolo, piuttosto lungo e sicuramente funambolico, che impreziosisce una delle migliori song del disco, senza ombra di dubbio. Non essendoci due senza tre, dopo due grandi brani arriva il capolavoro del disco, la spaventosa “Open The Grave”. Difficile descriverla, miscela tanti fattori ed emozioni. Lunga (ben oltre i 6 minuti), possente ed esaltante, dotata di tanti cambi di tempo (dal lento al mid al rapido), funerea e cupa, Open ha davvero di che stupire e tenere attaccati allo stereo. Il refrain è molto buono (anche se non si discosta dalla trama principale), i vari assoli evocativi al massimo, e le pennellate della chitarra elettrica sono sempre al punto e al momento giusto, sia in creazioni melodiche che non. Un classico, senza mezzi termini che reggano, seguito da un altro pezzo eccellente (tanto per gradire), quale è “Pray for Death”, che musicalmente si rifà molto a “Death by Hanging”. Riff tritatutto quindi, voce ben impostata e spettacolosa batteria (spiazzante a tratti). La chitarra elettrica si sente poco se escludiamo l’assolo, ma la vera arma in più è anche qui la lirica (alcune sono tutto sommato normali e scontate, altre decisamente intriganti), basta leggerla per capirlo. Spazio anche per una cover, e che cover!. Trattasi di un personale riarrangiamento del pezzo degli Sweet “Set me Free” e…che roba. Ora non dico che la cover superi l’originale (in quanto secondo me è impossibile, non tanto per gli Heathen, quanto per come la penso sulle cover io), ma sicuramente merita davvero tantissimo, e per l’esecuzione e per l’imprinting che scatena nell’ascoltatore. Tanto di cappello pure qui dunque. Dopo “Set me Free” è il turno della titletrack, che pur perdendosi in qualche attimo goliardico (nel tratto pre-refrain e nell’assolo, comunque speciale), mantiene comunque super il livello medio di un album finora quasi impeccabile. Da segnarsi sia il velocissimo riff portante che il ritornello vero e proprio, uno dei più duri e cattivi che mi sia capitati di sentire con quella velocità (in totale contrasto con la song, in quanto lento), un vero e proprio schiacciasassi. Dopo 6 canzoni di caratura elevatissima arriva il primo (e forse unico) baco (oddio baco…) del disco, “Worlds End”. Se sulla parte introduttiva, pura e sognante melodia, non ho nulla da dire (se non che col thrash non c’entra una fava, abbiamo addirittura le chitarre acustiche!), devo dire che la tiratissima parte successiva a tale melodia, per quanto tirata non riesce a coinvolgermi, non come le precedenti tracce. Amen. Decisamente molto melgio l’epica e violenta “Save the Skull”, closer di un album davvero enciclopedico, per le quali valgono le stesse parole, ambientazione esclusa, di song quali l’opener e Pray for Death. Per i possessori dell’originale la storia finisce qui, per chi ha il remaster manca da sentire “Heathen”, canzone decisamente buona, con una carica di violenza tra le più alte nonostante la sua non elevatissima velocità (questo grazie a una splendida chitarra ritmica) di base. Non ho più niente da dire, se non che, pur non essendo facile da trovare, Breaking the Silence è la chiara testimonianza di una band che, in quanto a talento, aveva da invidiare a pochi (e spero che dopo la reunion arrivi un prodotto che profumi di passato). Più che consigliato, ovviamente, l’acquisto, specie ai simpatizzanti del thrash made in Usa.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :

  1. Death by Hanging
  2. Goblin’s Blade
  3. Open the Grave
  4. Pray for Death
  5. Set me Free
  6. Breaking the Silence
  7. Worlds End
  8. Save the Skull
  9. Heathen (bonus track del remaster)

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