Recensione: Broken Lines

Di Stefano Burini - 6 Gennaio 2017 - 15:42
Broken Lines
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2016
Nazione:
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80

È stato detto e ripetuto più volte e in tutte le salse: non basta una sfilza di nomi altisonanti, magari tenuti insieme con il classico fil di ferro, per dar vita ad un album memorabile o quantomeno sufficiente/discreto. A fronte di piccole o grandi delusioni del passato più o meno recente non appariva dunque fuori luogo approcciarsi con una certa circospezione, fortunatamente rivelatasi ingiustificata, ad un progetto come quello concepito da Ben Weinman (The Dillinger Escape Plan) e Brent Hinds (Mastodon) e in seguito completato dall’ingaggio di William DuVall – attuale titolare del microfono nei sempre grandi Alice In Chains – in qualità di vocalist.

Il processo che ha portato dai primi annunci all’effettiva registrazione e pubblicazione di materiale audio da parte dei Giraffe Tongue Orchestra non è stato dei più semplici, sia per via delle incertezze legate alla scelta della voce “giusta” (i primi rumours indicavano addirittura l’attrice/cantante Juliette Lewis come favorita per il ruolo, NdR) sia per via della differente estrazione musicale degli artisti coinvolti. In effetti, fino al momento della pubblicazione dei primi due estratti (“Crucifixion” e “Blood Moon”) gli indizi in merito a quella che sarebbe stata la direzione stilistica dei Giraffe Tongue Orchestra non erano poi molti e nemmeno si può affermare, dopo aver ascoltato tutto l’album dall’inizio alla fine, che tali brani esaurissero in alcun modo l’intera gamma espressiva del gruppo.

A conti fatti “Broken Lines” è un disco fondamentalmente grezzo, figlio di un attitudine più punk che prettamente rock o metal, nel quale le influenze e il retaggio dei tre esponenti di maggiori spicco – come pure degli eccellenti “gregari” Thomas Pridgen (The Mars Volta) e Pete Griffin (Dethklok) – non mirano a costituire un melting pot dall’equilibrio potenzialmente instabile quanto piuttosto un insieme di canzoni funzionale e all’insegna della varietà di stili e soluzioni.

Brani veloci, decisi e privi di fronzoli come l’opener “Adapt Or Die” o le successive “Crucifixion” e “No One Is Innocent” – seppur queste ultime due già più ricercate – parlano la lingua del punk e del rock puntando su suoni sporchi al limite dello stoner e soluzioni strumentali e melodiche piuttosto inusuali, con William DuVall a dare sfoggio di un‘elevata capacità di adattamento in territori decisamente lontani sia da quanto proposto con gli Alice In Chains sia con i Comes With The Fall.

Con “Blood Moon” le esplorazioni melodiche continuano in maniera decisamente brillante ma è con la sontuosa “Fragments & Ashes” che Weinman, Hinds e compagnia danno vita al brano complessivamente più riuscito del lotto, forte della miglior melodia vocale di tutto l’album e dell’incorporo sul telaio punk/hard/rock di elementi di matrice progressiva, ancor più evidenti nella nervosa “Back To The Light” e nel prosieguo dell’ascolto.

In mezzo a un tale, vulcanico, bailamme non poteva in ogni caso mancare una ballad degna di questo nome ed in effetti i GTO e in particolare il mai troppo lodato William DuVall, non deludono con la splendida “All We Have Is Now”, una ballata tanto “semplice” dal punto di vista formale quanto commovente ed ispirata nella sua leggiadra sostanza.

Marciando a gonfie vele verso il finale i Giraffe Tongue Orchestra trovano poi modo di cambiare ancora una volta registro con il funk/jazz a tinte progressive che-sprizza-‘70s-da-ogni-dove della sincopata “Everyone Gets Everything They Really Want”, prima di darsi alla psichedelia senza compromessi dell’esagerata “Thieves And Whores” ed infine concludere in bellezza con l’ambiziosa title-track e il suo alternarsi di accenti Mastodon-iani e derive blues.

“Broken Lines”, come avrete capito, non è un album per tutti e non è – in particolare – un album “furbo” o nel quale possiate trovare troppi ammiccamenti al big sound delle band madri (non a caso al di fuori della cerchia degli appassionati l’uscita di quest’album è passata pressoché inosservata, NdR). Si tratta, al contrario, di un album molto coraggioso e di grande qualità, capace di rielaborare alla propria maniera spunti e idee di volta in volta provenienti dal punk, dal rock/hard rock di una quarantina d’anni or sono e dal progressive e in definitiva in grado di offrire grandi soddisfazioni e ulteriori spunti di interesse a tutti gli amanti della buona musica.

Stefano Burini

 

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