Recensione: Brotherhood Of The Snake

Di Andrea Bacigalupo - 13 Dicembre 2016 - 9:30
Brotherhood Of The Snake
Band: Testament
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2016
Nazione:
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92

Gli ingredienti che servono per “sfornare” del buon Thrash Metal sono: tanta passione, buona tecnica strumentale e compositiva, tenacia, idee, fantasia e chi ne ha più ne metta. Se a questi si aggiungono oltre trent’anni di esperienza, il prodotto che si ottiene sono i Testament.

Dal 1983, anno in cui si formarono con il nome di The Legacy, la loro lunga carriera è stata costellata da momenti topici, grazie ai quali sono stati acclamati come una delle migliori Thrash Metal Band di sempre, ma anche da fasi discendenti, che sono culminate nel loro temporaneo scioglimento. Molti sono stati i cambi di formazione, che hanno visto l’avvicendamento di svariati artisti di notevole caratura, quali Glen Alvelais (Forbidden), Paul Bostaph e Dave Lombardo (entrambi batteristi negli Slayer), solo per citarne alcuni e senza dimenticare Steve “Zetro” Souza (Exodus), che militava nel primo nucleo della band.

La formazione attuale riunisce i componenti originali Eric Peterson, Alex Skolnick e Chuck Billy con altri entrati nel gruppo in seconda battuta: Steve DiGiorgio e Gene Hoglan, due personaggi che si fa prima a dire con chi non hanno suonato che il contrario. Il risultato è eccellente: “Brotherhood Of The Snake”, ultimo full-length, pubblicato il 28 ottobre 2016.

La forte conoscenza della materia è l’elemento chiave che rende l’album un gioiellino: Eric Petterson va a riscoprire quel certo modo di comporre Thrash Metal tipico della Bay Area degli anni ’80 e lo attualizza con un songwriting incisivo e carico di potenza; la sezione ritmica DiGiorgio – Hoglan, con la forza del basso e della doppia cassa, forma un telaio sonoro sul quale Billy e Skolnick tessono magistralmente la loro arte: il primo con una delle voci che meglio esprime l’energica rabbia che il Thrash rappresenta, l’altro dimostrando, per l’ennesima volta, di essere uno dei migliori chitarristi solisti in circolazione e non solo nel suo ambito.

Quanto sopra evidenziato in dieci canzoni, per la maggior parte tirate e dinamiche, intrise della potenza tipica che i Testament ci hanno fatto conoscere nel loro primo periodo d’oro e poi con i lavori successivi al 1999 (anno di uscita di “The Gathering”).                

La Title Track “Brotherhood of the Snake” apre l’album creando la stessa atmosfera che avvolge il pubblico all’inizio di un concerto; strofe in mid-tempo amalgamate con refrain veloci, per mezzo di una dirompente sezione ritmica, portano ad una fase finale dove viene condensata l’indiscussa abilità degli artisti. La successiva “The Pale King” comunica tutta la rabbia del Thrash, mentre con “Stronghold” i Testament pestano sull’acceleratore facendosi fotografare dall’autovelox; la canzone è velocissima, con un refrain carico d’energia ed una crescita di potenza a dir poco esaltante. E’ il brano che meglio rappresenta l’evoluzione del combo.

Presa la multa i Testament rallentano, senza rinunciare ad un Watt di potenza; il risultato è “Seven Seals”, brano incentrato su un pesante mid-tempo con strofe e refrain intervallati da continui assoli. L’aggettivo che più gli si addice è “fantastico”.

Con l’energica e marziale “Born in a Rut” la band si discosta dai canoni del Thrash, esplorando sentieri più tradizionali; con tale pezzo Peterson dimostra di saper comporre brani molto versatili senza rinunciare all’energia dei suoni.    

Passata la metà dell’album i Testament mettono nuovamente a rischio i punti della patente partendo a tutta velocità, prima con “Centuries of Suffering” e poi con “Black Jack”, per impattare subito dopo sull’ascoltatore con “Neptune’s Spear”, dai ritmi oscuri e funambolici e con un Alex Skolnick che prende in mano le redini del pezzo raccontandone la storia attraverso le corde della sua chitarra.

La velocità riprende con “Canna-Business”, che denuncia la speculazione che ruota intorno alla distribuzione legalizzata di cannabis negli Stati Uniti, mentre la conclusiva “The Number Game” chiude bene il cerchio con una mazzata finale in chiave molto tecnica.

Oltre quarantacinque minuti di vero, sano e genuino Thrash, che spazza via senza colpo ferire quanto successo nei maledetti anni ’90, dove il genere sembrava affondare perché limitato nelle idee; è indicativo che la scure sia definitivamente calata da uno dei gruppi che maggiormente ha subito tale momento di crisi.

I Testament sono risolutivamente risorti come “supergruppo”, consapevoli delle proprie capacità. Sarà interessante conoscere la scaletta del prossimo tour, essendo tutti i brani registrati nell’album adatti per essere uniti sui palchi ai grandi pezzi di un tempo, dando dimostrazione che il sound del combo è unico ed ineguagliabile.

Brotherhood of the Snake” parla della più antica e misteriosa società segreta, che dal 3000 A.C. influenza le vicende politiche e religiose del mondo, guidata a sua volta da una razza extraterrestre, che vuole mantenere il genere umano suo schiavo bloccandone le potenzialità e tenendolo in perenne conflitto interno. Tema oscuro che porta a riflettere sulle vicende negative passate e, soprattutto, attuali che accadono nel nostro pianeta a causa dell’uomo ………………

Tirando le conclusioni, il pollice non può che essere rivolto verso l’alto per un album dagli ottimi contenuti, che si va ad affiancare alle altre produzioni uscite nel 2016 da parte dei grandi, quali Death Angel, Flotsam and Jetsam, Anthrax e Megadeth, per citare i primi nomi che mi vengono in mente, per comporre una nuova pagina della storia del Thrash Metal. Ora non ci resta che voltarla ed attendere quello che accadrà nel 2017 ……………..

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