Recensione: Burning Point

Di Carlo Passa - 21 Luglio 2015 - 9:00
Burning Point
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2015
Nazione:
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58

Sesto album per i power metaller finlandesi Burning Point, il primo con la nuova cantante Nitte Valo (ex Battle Beast), che toglie dal microfono il chitarrista Pete Ahonen.
Trattasi, in vero, della classica operazione mirata alla presentazione di nuovo membro, soprattutto quando si tratta del cantante. Oltre a cinque nuovi pezzi (tra cui una cover), Burning Point include, infatti, la riproposizione di sei canzoni apparse su dischi precedenti della band.
Come sempre accade in questi casi, i confronti si possono sprecare. Il cambio è, in vero, piuttosto marcato, se non altro perché Nitte Valo è una donna. Nel complesso, la Valo se la cava egregiamente, riuscendo anzi a risultare spesso più convincente e dinamica del suo predecessore. Certo, il materiale che le è stato messo tra le mani è di qualità non eccelsa, trattandosi di power metal molto canonico e del tutto derivativo (gli Hammerfall sono, forse, il modello più presente lungo i solchi dei dischi dei Burning Point): ma la ragazza ci mette l’anima e una sufficiente dose di mestiere.
Vediamo i nuovi pezzi nello specifico.
In the Shadows apre le danze e rende subito chiaro che il nuovo corso dei Burning Point non farà altro che ripetere quanto già detto nel giro degli ultimi quindici anni. Il pezzo è tipicamente power metal: veloce, melodico, dotato di un riff ascoltato chissà quante volte. La band è piuttosto professionale e suona bene. Gli arrangiamenti sono canonici, ma non così banali come si potrebbe pensare. C’è una bella aria di dinamismo, purtroppo castrata dall’aderenza totale a un genere che non ha più molto da dire.
E, infatti, Find Your Soul dice proprio poco: ha un ritornello davvero troppo scontato, al limite del ridicolo. Potrebbe avere un qualche successo nella tarda serata di una festa della birra in piena Baviera, quando tutti sono diventati fan scatenati grazie più all’alcol che alla musica.
My Darkest Times rallenta un po’ i ritmi e alterna una tipica strofa mid-tempo con un ritornello quasi hard rock che non ha molta ragione d’essere in questo contesto. Temo che neppure i birraioli di cui sopra potrebbero esaltarsi.
Queen of Fire è troppo debitrice nei confronti degli Hammerfall e suona come uno scarto di un qualsiasi album della band svedese, compresi quelli di minor qualità.
I’ve Had Enough (Into the Fire) è la cover di turno, in questo caso pescata addirittura da Animalize dei Kiss. Fatta salva l’originalità della scelta, non si può non constatare l’abisso che corre tra i pur tamarrissimi Kiss del 1984 e questi mestieranti finlandesi del 2015. Insomma, un pasticcio indistinto, capace di peggiorare ulteriormente il già brutto pezzo originale.
E passiamo alle riproposizioni che i Burning Point fanno di se stessi. Va detto che la scelta delle canzoni è stata oculata, riuscendo nella (non agevole) impresa di trarre dal cappello della discografia del gruppo quelle canzoni che mediamente si ergono al di sopra delle altre.
Into the Madness, ad esempio, da Feeding the Flames (2003), è una bella cavalcata che non lascerà traccia nella storia del genere, ma si ascolta volentieri.
Lo stesso dicasi per Heart Of Gold, originariamente apparsa su Burned Down the Enemy (2007). Il pezzo, un altro cavalcatone, denota un buon piglio e una certa dinamica.
Into the Fire, opener di Feeding the Flames, ha una buona melodia, anche se il suo grado di derivatività è al limite del sopportabile. Invece, Blackened the Sun poteva forse essere evitata.
Come già accennato, Nitte Valo si difende bene e non fa mancare niente ai pezzi dei Burning Point. Sembra ottimamente integrata nel sound del gruppo e dimostra una certa abilità a maneggiare anche i (pochi) cambi di atmosfera che campeggiano nelle canzoni dei finlandesi.
Insomma, i Burning Point sono una band trascurabile. Il mondo del metal è invaso di bravi mestieranti, che credono nel verbo e lo alimentano con ammirevole devozione e dedizione. Ma questo non basta per uscire dal sostanziale anonimato del sottobosco metallico. Può essere che li vedremo sudare su un palco secondario nella calura pomeridiana di qualche festival estivo. Niente più di questo.

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