Recensione: Cadaver Christi

Di Daniele D'Adamo - 23 Ottobre 2013 - 19:50
Cadaver Christi
Band: Harm
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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Accanto alle più moderne manifestazioni del death, cioè cyber, technical, melodeath, deathcore, ecc., resiste imperituro e invero piuttosto… arzillo l’old school death metal. E non solo fra i musicisti più attempati e quindi più restii ai cambiamenti ma, anche e soprattutto, fra quelli più giovani.

Come i tedeschi Harm, formatisi solo quattro anni fa e che ora, dopo un demo nel 2011 (“God Forgives… My Chainsaw Not!”), raggiungono il traguardo della pubblicazione del debut-album, “Cadaver Christi”. Peraltro con una label specializzata e in forma come la F.D.A. Rekotz.

Fatte queste premesse, è facile immaginare quale sia lo stile dei teutonici: death metal rozzo, primordiale, dalle coordinate tipologiche arcaiche. Basato su stilemi super-consolidati nel tempo da act leggendari quali Dismember, Pungent Stench e Autopsy. Stilemi che, tuttavia, rimandano immediatamente l’ascoltatore alla fine degli anni ’80, inizi degli anni ’90, quando il death aveva appena preso una sua forma ben definita partendo da quelle che, allora, erano le fogge specifiche del metal estremo: black e thrash.     

È pertanto chiaro che non ci si può aspettare nulla di nuovo, in “Cadaver Christi”. E, così, è. Il soffuso growling di Barkley pare davvero preso da certi dischi delle prime band thrash che tentavano di trovare una soluzione diversa alle solite linee vocali roche e stentoree. La chitarra marcia di Moloch è invece death al 100%, giacché arrovella riff putrefatti dal timbro inequivocabilmente vecchio e stantio. A essa si allinea lo stile del basso di Fabian, cupo rimbombo continuo che fa da sottofondo saltellante al guitarwork stesso. Il drumming grezzo e involuto di Solvernus, lontanissimo dalle follie dei blast-beats, completa un sound ideologicamente tanto perfetto quanto privo del benché minimo rigurgito modernista.

Di ensemble che suonano allo stesso modo degli Harm ce ne sono insomma a decine di migliaia, nel Mondo, ed è quindi arduo trovare una qualunque differenza fra essi e il resto della truppa. Più che arduo, impossibile.

Non rimane che aggrapparsi alle canzoni, per tentare una via di fuga dalla noia incipiente. Anche in questo caso, però, manca nei Nostri una personalità tale da far risaltare un insieme di song, sì perfettamente costruite per lo stile proposto, ma incapaci di fornire qualcosa di nuovo, di diverso, di peculiare a quanto già fatto da tanti altri colleghi specialisti nella vecchia scuola. Quando il ritmo si mantiene alto qualcosa si salva, come l’opener “My Name Is Jack”, tirata su da un riff portante in grado di scartavetrare la carne e di far roteare la scatola cranica. I quattro quarti accelerati di Solvernus sono quanto di più incolto si possa ascoltare in termini di evoluzione del drumming, ma sono dannatamente efficaci nel diffondere quell’ineguagliabile sentore di decomposizione nel modo che solo l’old school death metal sa fare. Seguendo lo stesso filo del discorso, appare buona anche “Burn The Saints”, dall’incedere rapido, potente e accattivante. Durante i brani più lenti (“Harmageddon”), e anche in quelli dettati dal mid-tempo (“Cross Desecration”), al contrario, si affaccia quasi subito l’uggia, poiché il doom/death elaborato dal combo di Berlino è fiacco, privo di mordente e anonimo.    

Certo la coerenza stilistica degli Harm non si può discutere: “Cadaver Christi” è puro old school death in tutti i suoi quaranta minuti di durata. L’assenza di spunti diversi dall’ortodossia totale, però, conduce senza indugi il lavoro verso il dimenticatoio.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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