Recensione: Cantus Lucidus

Di Luca Montini - 22 Gennaio 2015 - 18:00
Cantus Lucidus
Band: Coronatus
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2014
Nazione:
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45

La bi-female (?) fronted gothic metal band tedesca Coronatus nasce nel lontano 1999, ed ha all’attivo ben cinque album; sei con la release “Cantus Lucidus” (dicembre 2014) quivi recensita. In ordine rigorosamente cronologico e con grande dispendio di erudito latinorum: “Lux Noctis” (2007), “Porta Obscura”  (2008), “Fabula Magna” (2009), “Terra Incognita” (2011) ed il recente “Recreatio Carminis” (2013) – disco nel quale la band poteva addirittura definirsi tri-female fronted metal. Da allora si segnala la defezione di due cantanti: Ada Flechtner e Mareike Makosch, sostituite da Anny Maleyes, che compone il nuovo duo con la fondatrice: il soprano Carmen R. Lorch. Insomma 3-2+1=2. Qualcos’altro di avvincente da dire?

Ah si! La recensione. Il genere proposto dal combo, al quale annoveriamo anche Oliver (e basta!) alle chitarre e Mats Kurth alla batteria, è un gothic-symphonic che più classico e scontato non si può. Ricordano un po’ i primi Nightwish delle ballate e delle melodie strumentali nordiche, un po’ i primi Within Temptation, con le chitarre spompate ed i riff spesso assolutamente anonimi, mentre da entrambe raccolgono l’uso dei cori che condiscono qua e là le composizioni. 
L’idea delle due voci si riconferma l’unica mossa originale del gruppo, con la Lorch ben armata sulle parti più operistiche e la Mayeles a sostenere le linee melodiche più leggere. Già dall’intro in lingua madre “Schnee und Rosen” (neve e rose) si capisce dove andrà a parare il disco. L’atmosfera non manca, il gusto dolceamaro di neve e rose, sangue e ghiaccio si proietta con giocosità nel ritornello e la magia sfuma dopo una manciata di minuti. 
Arpeggio in apertura e violino per “Deborah”, brano in inglese che stavolta non colpisce affatto: un mix di cliché più prevedibili della neve a gennaio nei titoloni de ilmeteo.it
Stupenda l’intro di cornamusa in “No Holy Wars”, ma anche qui pessimo tutto il resto, un mix di roba insensata. Strofa senza mordente, ponte coristico da messa della domenica e ritornello con il plettratone delle chitarre sullo sfondo lontano lontano. Ve lo immaginate un pacifista su quella melodia di cornamusa in qualsiasi contesto diverso da un cartone animato?
Dopo violino e cornamusa il protagonista diventa il flauto con “The Elvenwell (I can Give You)”. Stavolta sulla melodia flautosa c’è pure un breve assolo di chitarra (missato malissimo), ma il pezzo supera la sufficienza – a patto che lo si ascolti una volta sola o che non ci si accorga volutamente che l’intero brano si basa su nove note di faluto ripetute ad infinitum. Su questo pezzo è stato realizzato un video promozionale.
Tocca allora all’amicizia tastierosa di “Freundshaft” sollevare lo stendardo della dignità, ed in effetti siamo di nuovo dinanzi ad un brano discreto grazie ad un ritornello azzeccato, melodico ed a più voci. C’è anche un po’ di carica blast beat della doppia cassa, nella poca fantasia del drumming espressa sin qui è già qualcosa. Chitarre sincopate e gradevole l’intermezzo di flauto. Non male anche “Unsterblich”, di nuovo con inserti folk divertenti ed interventi di flauto. Ai limiti dell’ascoltabile anche “Autumn Child (In my Dreams)”, con delle buone linee melodiche. 
Al contrario, davvero pessima la prova del mid-tempo “Cathy’s Floor”, di nuovo sul tema delle rose, di una banalità agghiacciante, ed ancor peggio “Ihr Habt di Shuld!”, con i suoi otto minuti che offrono diversi spunti triti e ritriti già ampiamente approfonditi durante il platter, senza  alcuna originalità né carattere.  

Cantus Lucidus” ci pone dinanzi ad un dilemma: come è possibile per i Coronatus arrivare a quest’accozzaglia sinfonica dopo ben sei album e sedici anni di attività? Come può una band senza idee continuare a scrivere e produrre musica a fronte di tanti personaggi in giro ben più motivati e capaci? Tra l’altro da sottolineare la produzione decisamente scadente firmata Markus Stock (The Vision Bleak), che tuttavia alla luce di un simile songwriting sembra davvero l’ultimo dei problemi. Del resto non dev’essere facile missare una chitarra distorta solista assieme ad un flauto, facendo passare il secondo per lead. Testi a dir poco imbarazzati, quel poco che si salva lo fa con la scusa della musicalità. In generale meglio le parti in tedesco che quelle in inglese.
Qualora vi sentiste attratti da questa cover ai limiti del photoshop-for-dummies e voleste fare un giro in stereo con queste due belle ragazze, potreste anche apprezzare lo stile un po’ folk sbarazzino e qualche melodia tra le tante. Molto più difficile arrivare al secondo ascolto senza che sia già sopraggiunta la noia, il diabete o l’allergia alle rose.

“Living on Cathys, living on Cathys floor
You’re following roses, following roses
Roses, uuuh roses

Roses for my love
To hold her, to hold my treasure
Roses for my love
To hold her, to hold my treasure”

Luca “Montsteen” Montini

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