Recensione: Celestial Entrance

Di Mattia Di Lorenzo - 5 Gennaio 2008 - 0:00
Celestial Entrance
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Anno: 2002
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75

I Pagan’s Mind, dopo il brillante debutto Infinity Divine, tornano nel 2002 con quello che, ad oggi, è il loro lavoro più significativo. Molto più progressive che power metal, Celestial Entrance mostra una band incredibilmente matura, degna di stare a braccetto delle band più quotate del genere, Symphony X e Dream Theater in particolare.
Alcuni arrivano addirittura ad affermare che questo cd sia una delle uscite migliori in campo progressive degli ultimi dieci anni, e a ragion veduta ci sono buoni motivi per crederlo: il songwriting, la produzione di alto livello, la qualità dei suoni delle chitarre, la prestazione molto buona del cantante Nils Rue.
Manca davvero poco ad ascrivere questa uscita nel novero dei classici: unica reale pecca è un eccessivo citazionismo, quasi una ricerca di tranquillità nel percorso già tracciato dai grandi, laddove invece la band dimostra di saper camminare con le proprie gambe, e anche molto bene.
Valga da esempio l’esordio della suite finale The Prophecy of Pleiades, canzone di quasi dieci minuti praticamente perfetta, il cui esordio è però platealmente ripreso, sotto ogni aspetto ritmico, melodico, tecnico e testuale, dalla celeberrima “Learning to Live” dei Dream Theater.

Ma procediamo con ordine.
Celestial Entrance è la prima parte di un concept ispirato a Stargate, come dimostra la bella copertina disegnata e ideata dallo stesso cantante della band. L’atmosfera orientaleggiante e mistica dell’introduzione strumentale ci cala nel bel mezzo della magia egizia. Ma non siamo di fronte alla “solita” ouverture sinfonica fine a se stessa. Le ritmiche di Kristoffersen, e il riff “petrucciano” di Lofstad danno una prima prova di quanto siano abili compositivamente i Pagan’s Mind.
Il trapasso alla canzone più catchy dell’album, Through Osiris’ Eyes, è molto morbido, perfettamente calzante. Per quanto fosse interessante il primo cd dei nordici, la maggiore maturità acquisita salta immediatamente all’orecchio. L’abbandono quasi completo di certi stilemi power alla Stratovarius è compensato da un maggiore adeguamento a situazioni tipiche del prog, derivanti soprattutto dai Symphony X. I Pagan’s Mind si caratterizzano però per velocità meno sostenute, bilanciate da un lavoro “atmosferico” delle tastiere particolarmente curato. La fantastica sessione solistica non si contraddistingue per un esagerato virtuosismo tecnico, bensì per una squisita ricerca melodica, che appaga anche i gusti dei power metallers, compensando le spinte più rudi e difficili delle parti cantate.
La prima parte del disco procede su questo arduo e e sofisticato equilibrio tra melodia e complessità di costruzione, immediatezza lineare e densità armonica. Elemento di eccezionale interesse della band è la cura maniacale dei suoni di chitarra e batteria: l’effetto ricercato – e splendidamente ottenuto – è quello di massima plasticità, con suoni secchi ma al tempo stesso rotondi, mai strascicati ma sempre compatti. L’appagamento dei sensi che si prova è qualcosa di stupefacente, specialmente se ci si azzarda ad alzare un po’ il volume…
Ma il bello deve ancora venire.
Dopo la mirabolante melodia e i fantastici soli di Entrance: Stargate, trascorse le rocciose, un po’ troppo prolisse …of Epic Questions e Dimensions of Fire, il cambio di ritmo è drastico: è la volta della traccia più “tirata” del lotto, Dreamscape Lucidity. La canzone potrebbe essere tranquillamente estratta da “The Divine Wings of Tragedy”, ma rappresenta anche il punto di collegamento con la tradizione melodica nordica e il cd di esordio della band stessa. Qui però ogni eccesso è dimenticato: il collegamento tematico con il favoloso oriente è mantenuto nella sezione centrale, mentre voce e chitarre danno un piglio decisamente power a strofa e ritornello. Canzone eccezionale, apprezzabile da un pubblico molto vasto e vario per gusti musicali.
Spazio all’ispirazione Dream Theater nella successiva The Seven Sacred Promises, accompagnata però sempre da un genuino gusto per le timbriche dolci e raffinate. Non ci potrebbe essere introduzione migliore a quanto segue: i due episodi strumentali intitolati Back to the Magic of Childhood rappresentano due facce della stessa medaglia. Portnoy e soci sono di nuovo i punti di riferimento privilegiati, ma la qualità musicale è talmente eccelsa che non si può rimanere indifferenti. La prima parte mostra l’aspetto dolce e rasserenante della rievocazione della giovinezza, la seconda ci porta nel bel mezzo della “follia progressiva”, o del “Caos Sistematico”, per citare anche noi i maestri di New York. Questi passaggi, divenuti ormai tipici del progressive nella loro atipica complessità ritmica, sono sempre dotati di un particolarissimo fascino, qualunque sia la band di turno che osi cimentarvisi. E oltre un quarto d’ora di musica scorre senza che quasi ce ne si renda conto.
Il dolcissimo pianoforte della breve ballad In Brilliant White Light aggiunge un tocco di malinconia e di intensità patetica al tutto. Peccato che la canzone duri solo due minuti e mezzo.
Aegean Shores e la suite finale di cui si è già parlato ripropongono le caratteristiche dell’album mantenendo la qualità complessiva su altissimi livelli, e raggiungendo talora vette di sublime musicalità.

Non c’è che dire: Celestial Entrance è davvero un lavoro esaltante, frutto del lavoro di una band il cui nome è sicura garanzia di qualità, come confermano anche le due ultime uscite. Di certo la musica dei Pagan’s Mind non è di ascolto immediato. Data la complessità della struttura armonica e di alcune scelte di suono, sono necessari diversi ascolti per assimilare appieno la proposta del gruppo. Ma è un rischio che si può correre a scatola chiusa, certi che i vantaggi superano ampiamente i pochissimi difetti. È giusto notare, sul fronte negativo, la qualità non sempre eccelsa dei testi, sicuramente meno ispirati e memorabili della musica, quando non addirittura scorretti dal punto di vista grammaticale o stucchevolmente banali. E anche un uso dei filtri microfono un po’ esagerato in certi frangenti. Ma sono tutti difetti trascurabili, che non intaccano il valore globale molto alto dell’album.

Concludo ricordando con sincero cordoglio la prematura, tragica morte del chitarrista Thorstein Aaby, deceduto il 24 luglio 2007, e augurando ai Pagan’s Mind il miglior proseguimento di carriera al livello internazionale che meritano.

Mattia Di Lorenzo
 

Tracklist:
1. Approaching
2. Through Osiris’ Eyes
3. Entrance: Stargate
4. …of Epic Questions
5. Dimensions of Fire
6. Dreamscape Lucidity
7. The Seven Sacred Promises
8. Back to the Magic of Childhood: Conception, Pt. 1
9. Back to the Magic of Childhood: Exploring Life, Pt. 2
10. In Brilliant White Light
11. Aegean Shores
12. The Prophecy of Pleiades

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