Recensione: Chamber of Divine Elaboration

Di Alessandro Cuoghi - 14 Novembre 2009 - 0:00
Chamber of Divine Elaboration
Band: Reverence
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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79

Risulta sempre piacevole scoprire qualcosa di nuovo e particolare nel panorama musicale odierno, ormai stanco e legato alle ferree leggi del marketing, capace di raggiungere con i propri artigli plastificati anche i lidi più estremi dell’espressione artistica.
Sotto questo punto di vista, il progetto francese Reverence si presenta decisamente originale e libero da vincoli compositivi, tanto da riuscire ad attirare l’attenzione della Avantgarde Music e sfornare sotto di essa il disco recensito in questa sede: Chamber Of Divine Elaboration.
La band, per l’occasione un duo composto da I.Luciferia (voce, chitarre, ambient) e Aym (basso), è fautrice di una originale e per nulla immediata proposta musicale, commistione di sonorità tipiche del Black Metal più tetro ed introspettivo, incatenate a sprazzi di lento e pesante Industrial.
La plumbea e soffocante aura che invade l’intero disco come una malefica foschia si giostrae così tra fredde aperture cybernetiche, spietate sferzate metalliche e lugubri ambientazioni Depressive, creando nel complesso una allucinante sensazione d’oppressione.

Chamber Of Divine Elaboration è un disco malsano e claustrofobico, concepito e costruito appositamente per un’azione sinergica con le angosce umane, crudele nella sua psicotica trama ed in grado di attanagliare tra gelide lame metalliche il cuore di chi, ascoltandolo, voglia porsi alla prova.
La violenza delle composizioni non è garantita dalla mera velocità, bensì dall’incedere lento e incessante dei corrosi arazzi metallici che, fra dissonanze stridenti e ritmi ipnotici, riescono ad annichilire l’animo dell’ascoltatore.
Il background puramente Black Metal viene strumentalizzato ed innestato spietatamente nella violenza mentale del lavoro. Nascono così composizioni assolumente maligne e soffocanti, tra cui l’opener “Infra Code Of Perdition” o la successiva “Institution Of The Dirt Archetype”, che striscia fra i reconditi anfratti dell’ego, destabilizzandolo e brutalizzandolo attraverso gli atroci vocalizzi di I.Luciferia e le angoscianti partiture sintetiche che ne drappeggiano la struttura. La sensazione costante è di trovarsi in una angusta camera della morte, fredda e umida, corrosa dal tempo, dove si è costretti a vivere la lunga e drammatica attesa di una inevitabile esecuzione.
Nell’universo musicale dei Reverence non è presente alcun bene, l’ambient utilizzato è quello delle più estreme espressioni del Depressive, dove suoni sconnessi si fondono a funeree estrapolazioni Doom in una soffocante dimensione sonora.
La durata dei brani è elevata, come se la band volesse cuocere a fuoco lento le proprie prede, ma ogni canzone non stanca e risulta scorrevole nella propria distorta evoluzione.
Non è possibile rimanere indifferenti nei confronti delle stridenti costruzioni chitarristiche di “Infected Forms Of Distance”, altro brano in grado di catturare l’ascoltatore nonostante l’estremismo della proposta musicale.
L’industrialmente decadente “White Journey Inc.”, della quale è stato girato un videoclip facilmente visualizzabile online, ci mostra un aspetto più avantgarde e meno inaccessibile della band. Grazie ad un uso maestoso dei synth si rivela infatti uno fra gli episodi più riusciti del disco, pur rimanendo ancorato agli elementi strutturali già citati in precedenza. Altro brano di caratura elevata è la conclusiva “Pride Of Inanimate Emptiness”, canzone in cui le tastiere ricoprono nuovamente un ruolo chiave e la tensione angosciante del disco pare finalmente dissolversi. Un lieto fine non sembra però addirsi ad un lavoro totalmente oscuro come Chamber Of Divine Elaboration ed infatti, come a farsi beffe di un’inutile speranza, di un pallido raggio di sole, appare nuovamente l’angoscia, che strisciando verso di noi ci spinge incessantemente verso l’oblio sonoro.

Tirando le somme la band sembra aver raggiunto appieno l’obiettivo prefissatosi, consegnandoci un disco senz’altro oscuro, ispirato e ricco di significati, a partire dal titolo, il cui acronimo si rivela essere CODE. Come a voler sottolineare l’intenzione da parte dei nostri di voler riversare in musica il codice della perdizione assoluta.

Per concludere autocito la mia affermazione iniziale, riguardante il piacere provocato dal sentire qualcosa di nuovo e particolare. Ebbene, in questo caso il termine “piacere” risulta quantomeno fuorviante, più che altro è infatti possibile parlare di “sofferente stupore introspettivo”, “stordimento cognitivo” e soprattutto di “profondo gelo emotivo”. Aspetto quest’ultimo che si svela essere al tempo stesso il punto di forza ed il limite di CODE. Il quale risulta spesso freddo, troppo freddo, in maniera nettamente dissimile dal quel gelo appassionato e naturale che in modi diversi ha segnato i capolavori dei grandi act nordici: dai mitici Darkthrone, ai terremotanti Immortal, fino a Burzum, Emperor e a molti altri che non stò ora a citare. Il freddo di CODE è più tecnologico e sintetico, composto non da stalattiti, bensì da contorti e taglienti rottami metallici, non da oscure foreste sferzate da venti spietati, ma da catene arrugginite strette attorno al collo di una vittima agonizzante. Tuttavia, nonostante la forte presenza di contaminazioni, la proposta dei Reverence rimane assimilabile al Black Metal; la differenza sta nel fatto che le sensazioni sono rese in modo alternativo e confezionate in un pacchetto inaspettato, il chè più essere gradito o meno.

Mi sento quindi di consigliare questo disco solamente ai cultori dell’Avantgarde, del Depressive estremo e magari a qualche curioso avventuriero musicale, infatti, sebbene la classe espressa risulti elevata, le basi su cui è costruito lo rendono piuttosto spinoso e assai difficile da valutare: ci sarà infatti chi griderà al capolavoro e chi, mentre vaga per una vasta foresta norvegese ascoltandosi Burzum, troverà che il miglior utilizzo per CODE sia quello di bruciarlo per scaldarsi le mani intorpidite dal freddo, quello vero.

Alessandro Cuoghi

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TRACKLIST:

1. Infra-Code of Perdition
2. Institution of the Dirt Archetype
3. Infected forms of distance
4. Inner Phaze
5. White Journey.Inc
6. Astral Noise Projection
7. Pride of Inanimate Emptiness

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