Recensione: Choosing Mental Illness As A Virtue

Di Simone Volponi - 12 Marzo 2018 - 14:00
Choosing Mental Illness As A Virtue
Etichetta:
Genere: Sludge 
Anno: 2018
Nazione:
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75

Phil Anselmo ha ancora molto da dire. Lui che forse è stato l’ultimo vocalist-star della scena metal, quando con i Pantera contribuiva a dare uno scossone a tutto il movimento, stretto nella morsa del grunge, portando il verbo metal in vetta alle classifiche quando ancora le classifiche contavano qualcosa, prima che tutto diventasse liquido e dispersivo.
Ora non è più tempo di vendite importanti, né di arene stracolme, e negli anni il talento animalesco di Anselmo si è diviso tra una moltitudine di progetti non sempre validi che ne hanno in parte offuscato il ricordo dei bei tempi, oltre a dedicarsi alla sua etichetta Housecore. Contuso e sfregiato dai dissapori con la vita e dal tempo che incalza, l’artista di New Orleans rimane orgogliosamente in piedi, e ancora arrabbiato. Amato e odiato, attaccato e lodato, Phil non è pronto per entrare negli archivi della storia musicale senza combattere fino all’ultimo, il vizio di liberare la bestia non è andato perduto, e possiamo ancora ascoltare questa discussa icona disintegrare il microfono con i suoi The Illegals.

Il debut “Walk Through Exits Only” aveva lasciato interdetti i fan, non era messo a fuoco, non c’era la qualità che ci si aspetta sempre da chi ha lasciato un segno profondo e duraturo, quindi la logica fa approcciare il nuovo “Choosing Mental Illness As A Virtue” con molta, forse troppa diffidenza.
Recuperati alcuni riff rimasti nel cassetto per vent’anni e restando spostato sul lato più estremo della propria natura, Philip H. Anselmo offre dieci nuove tracce senza compromessi, lasciando che la propria furia si sprigioni in tutta libertà. L’instabilità mentale, la collera, l’ignoranza, la maleducazione, la brutalità. Tutto questo viene ruggito in faccia all’ascoltatore con l’iniziale “Little Fucking Heroes” andando a richiamare il vecchio “The Greater Southern Trendkill” estremizzando ancora di più il concetto, grazie a un riff grasso e lercio di fango e al cantato schizoide che non vuole saperne di seguire la logica ma rilascia tutta l’energia brutale dell’energumeno Anselmo.
La rabbia e l’ostilità personificate di “Utopian” e della titletrack riconducono ai fasti panteriani di “Far Beyond Driven” imbastardendo quell’aggressività viscerale condotta con classe con un devastante thrash e il southern sludge che Phil e la scena di New Orleans tutta hanno forgiato. La voce passa dal growl allo screaming più maligno, con tanta matrice black metal che gorgheggia nella giugulare, e il massacro sonoro è servito.
The Ignorant Point” e “Delinquent” sono già nel titolo un manifesto chiaro. Le dissonanze folli, i gorghi delle chitarre tiratissime, le urla belluine e fuori controllo. Questo è quello che vuole l’uomo e l’artista, che non rinnega le proprie turbolenze e gli errori commessi, ma sembra ora volerli affrontare con la lucida follia che spesso sa esorcizzare i demoni interiori.
L’arcigna “Individual” mastica riff pesanti che sbattono corpo e mente contro quattro pareti prive di imbottitura. Un pugno in faccia dall’assolo distorto e sgraziato, e il bestione che cola bava livida mentre si spacca i polmoni al microfono.
A volte Anselmo immette nei pezzi quel tono declamatorio spesso sentito negli anni ‘90, quando lo vedevamo puntare il dito con gli occhi chiusi e la fronte corrucciata nella sua classica faccia da rognoso figlio di…
Non possiamo ricercare “hit” all’interno del disco, non ci sono reali momenti che rimangono in testa, perché la melodia è scacciata all’inferno da un puro, truce, richiamo selvaggio. Ma si trova qualche parvenza di ritornello sotto forma di schegge, come ad esempio in “Photographic Taunts” e nell’incalzo feroce di “Finger Me”.
La band fa il suo dovere giocando al ribasso tecnico e all’amplificazione dell’impatto (terremotante “Invalid Colubrine Frauds” con la parte finale rallentata e declamatoria, folle e oscura “Mixed Lunatic Results”, conclusione maligna del lotto) , ma il mattatore è inevitabilmente il buon vecchio leader degli Illegali, che sa ancora porre un punto di non ritorno in fatto di rissa sonora. E si può brindare perché alla seconda prova i Philip H. Anselmo & The Illegals hanno fatto centro e messo a punto i loro propositi.

I Pantera hanno lasciato un’eredità duratura, questo va ribadito anche in virtù delle continue voci di reunion (lo stesso Phil sarebbe il primo a muoversi, per ragioni forse non proprio musicali) che poi alla fine forse ci sarà, ma farà solo l’effetto placebo della potenza virulenta e del menefreghismo che si respira in “Choosing Mental Illness As A Virtue”, ad oggi migliore forma di rispetto verso quel lascito.

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