Recensione: Choronzon

Di Stefano Risso - 10 Giugno 2006 - 0:00
Choronzon
Band: Akercocke
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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85

Choronzon non è un disco qualunque, questo è un lavoro che a mio modo di
vedere o si ama o si odia. Nessuna via di mezzo, nessuna posizione neutrale, né
tanto meno alcun compromesso. Del resto per gli albionici Akercocke queste
parole devono essere decisamente sconosciute, dal momento che i nostri sono
alfieri di un sound che non accetta né catalogazioni né schemi fissi per poter
sprimersi.

Choronzon è così, un oscuro mosaico che mette a dura prova il giudizio degli
ascoltatori. Ammirare l’importante quantità di idee riversate in ogni brano o
denigrare un disco (apparentemente) privo di amalgama in cui è facile perdersi?
Io sinceramente non mi sono mai posto la questione, preferendo abbandonarmi fra
le spire avvolgenti di questo album, lasciandomi abbracciare dalla
caleidoscopica Leviathan, perfetto esempio e supremo manifesto di come si possa
suonare secondo diversi regimi per raggiungere poi un unico climax di emozioni
ammorbanti o dall’elegantissima Goddess Flesh, un brano capace di conciliare ed
amplificare tutti gli stati d’animo attraversati durante l’ascolto.

Non è una caso che mi stia soffermando sul lato emotivo di Choronzon, a mio
avviso la giusta chiave di lettura per poter decifrare un disco che se
affrontato nella maniera sbagliata non riesce a mostrare il profilo migliore di
sé. Un compromesso tra la ferocia di
The Goat Of Mendes
e il raffinatezza
esecutiva di
Words That Go Unspoken, Deeds That Go Undone
,
Choronzon innalza ad
un livello superiore la proposta che gli Akercocke avevano inaugurato con i due
full-length precedenti, andando a confezionare brani più complessi, mandando a
benedire (o meglio a maledire…) definitivamente qualsiasi rigida impostazione, migliorando
notevolmente nella composizione e nell’esecuzione tecnica delle tracce in
scaletta.
Uno stile che annovera una sterzata decisamente più death metal rispetto al
passato, ma che mantiene ed esalta le caratteristiche tipiche della band
inglese, attraversando quindi tutto il panorama estremo, con una grande
attenzione agli stacchi atmosferici, sottolineati da discreti ma essenziali
inserti sinfonici ed elettronici, uniti dalla consueta aurea infernale ed
esoterica insita nell’immaginario degli Akercocke.

Canzoni che non solo riescono a rapire la sfera emotiva, ma che spiccano
anche per l’alta qualità esecutiva messa in mostra dai nostri, capaci di variare
regime con una semplicità disarmante, riuscendo anche a ricucire meglio i
salti che queste variazioni comportano e che avevano leggermente segnato The
Goat Of Mendes
. Praise The Name Of Satan inaugura il disco nel migliore dei
modi, svariando dal black metal iniziale verso sfuriate brutal death e aperture
sinfonico/atmosferiche per dar vita ad un brano davvero completo sotto tutti i
punti di vista. La cosa più sorprendente è poi come tutto questo riesca a
ripetersi per tutta la generosa durata dell’album, senza riproporre le stesse
soluzioni in
maniera differente, ma tessendo sempre nuovi riff e nuove partiture con
altrettanti cambiamenti vocali da parte del frontman Jason Mendonca, qui
ulteriormente migliorato. Dopo la gia citata Leviathan (splendida, a mio avviso
la migliore del lotto), si passa dalla terremotante Enraptured By Evil alla teatrale
Valley Of The Crucified -da pelle d’oca il primo minuto e mezzo, ascoltare per
credere-. Superbo il lavoro delle chitarre della coppia Jason Menonca e
Paul
Scanlan
, così come il supporto della sessione ritmica di Peter Theobalds al
basso e dell’indemoniato David Gray a profilare pattern sempre fantasiosi e
violentissimi. Difficile esprimere a parole tutte le sfumature di Choronzon,
ammaliati dagli arabeschi iniziali di Bathykolpian Avatar, e sorpresi dalla mole
di lucida cattiveria e maestria del terzetto composto da Scapegoat, probabilmente
il pezzo più brutale e dal finale a dir poco incandescente, dalla sperimentale
Son Of the Morning, ancora una volta buonissimo l’uso combinato di elettronica,
noise e voce pulita e dalla mazzata finale Becoming The Adversary, quasi sette
minuti di estremismo sonoro targato Akercocke. Chiude tutto la breve Goddess
Flesh
, a cui tocca il gravoso compito di ricucire con delicatezza le ferite
provocate fino ad ora.

Finalmente supportati da una produzione all’altezza (il mixaggio è stato
curato da Neil Kernon) e da una buona dose di raziocinio anche nell’inserire i
tre brani rumoristico/strumentali, gli Akercocke riescono a porre il primo punto
esclamativo di una carriera in piena evoluzione, con un disco ricchissimo,
superato solo dall’ultimo Words That Go Unspoken, Deeds That Go Undone. Come la
discinta ragazza ritratta nella cover, affrontare questo disco significa
mettersi in viaggio verso un abisso barocco ed elitario, specchiarsi ed
accorgerci che l’inferno non è poi così lontano. Giudicate Choronzon come
volete, per me rimane nel suo genere un capolavoro.

Stefano Risso

Tracklist:

  1. Praise The Name Of Satan
  2. Prince Of The North
  3. Leviathan (video)
  4. Enraptured By Evil
  5. Choronzon
  6. Valley Of The Crucified
  7. Bathycolpian Avatar
  8. Upon Coriaceous Wings
  9. Scapegoat
  10. Son Of The Morning
  11. Becoming The Adversary
  12. Goddess Flesh

Nota: Il videoclip di Leviathan non corrisponde alla versione del
disco, in quanto tagliata in più parti.

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