Recensione: Christenhass

Di Giorgio Vicentini - 13 Febbraio 2005 - 0:00
Christenhass
Band: Ulfsdalir
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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67

Aggiustano il tiro i teutonici Ulfsdalir, ma non perdono la loro tipica connotazione dannatamente zeppa di tanfo d’annata. Christenhass sceglie ancora la via maestra darkthroniana con passione e profitto, percorrendola a cavallo di brani dalla durata più consona allo stile della band; minutaggi più contenuti per buttare l’anima e sputare sangue, cosa che non riusciva del tutto nell’esordio Gimnir.
Nella sua sostanziale semplicità, l’ossatura base riesce ad essere efficace se pur saldamente legata ad uno stile iper-classico, eretta su un’atmosfera da lupi ululanti ed oscure presenze tra i boschi notturni. Disco compatto che non si preoccupa di imparare il significato di innovazione o modernità, ma che ben conosce altri termini quali onestà e fedeltà alla sacra fiamma.

Trovo paradossalmente pregevole che Christenhass, pur dimostrandosi ancorato a schemi per alcuni obsoleti, riesca ad essere facile nell’ascolto ed appagante per chi lo cerca con consapevolezza. Scorrevole, fetido, auto-celebrativo in alcune combinazioni di suoni e riffing, ma autenticamente e dichiaratamente nato per il ruolo che si prefigge: onorare l’arte nera.
E’ chiaro che solo i cultori dell’old style potranno trovare giovamento da questo ascolto, per tanto si consiglia agli altri di non perdervi tempo e di usare 38 minuti della propria vita in qualcosa di più affine a loro. Per i restanti volontari si tratterà di un acquisto più che fruttifero in virtù della sua schiettezza.

Gli amanti potranno capire che i tedeschi non cercano di strafare inutilmente alzando il volume delle composizioni, bandendo tastiere o altri gingilli raffinati qui superflui. Unico scopo è fare il proprio dovere puntando su emozioni antiche, ben focalizzate dal sound ed impreziosite dall’intelligente equalizzazione delle chitarre. Mixate volontariamente in leggero secondo piano, riescono a trasmettere un senso di profondità e di “originario”, rafforzate dallo scream gracchiante più che mai perfetto per l’occasione, accentuate da una produzione adatta ma tutt’altro che da “antro della bestia”.

Ovviamente la perizia tecnica è da rapportarsi debitamente al contesto, dovendo essere più che altro funzionale allo scopo. Qualche titolo meritevole: l’opener “Ruhmtaten der Ahnen”, la rognosa title track “Christenhass”, il riff d’attacco di “Vergessene Wurzeln” o il tratto atmosferico finale di “Elfenwelt“, che in connubio con la voce cancrenosa mi rammentano la luna piena e folli scorribande notturne tra i pini imbiancati.

Non voglio tediarvi/mi con ulteriori descrizioni, questo è un disco che riprende in mano per l’ennesima volta ciò che è nella genesi del genere omaggiandolo sinceramente.

Tracklist:
01. Ruhmtaten der Ahnen
02. Flamme des Hasses 
03. Unser Sieg 
04. Christenhass 
05. Instrumental 
06. Krieger
07. Vergessene Wurzeln 
08. Elfenwelt 

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