Recensione: Cities – In this Moment We Are Free

Di Roberto Gelmi - 30 Ottobre 2017 - 10:00
Cities – In this Moment We Are Free
Band: Vuur
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2017
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
75

Tutti aspettavano l’opera prima targata Vuur, un’uscita incandescente che vede il ritorno dell’eterea e intramontabile Anneke van Giersbergen in ambito metal, dopo l’uscita nel 2007 dai The Gathering, le collaborazioni con Mr. Devin Townsend e comparsate varie (tra cui il progetto The Gentle Storm). I Paesi Bassi sono regione d’eccellenza del metallo raffinato: venute a mancare band come After Forever e Stream of Passion, resistono invece realtà importanti come Epica e Within Temptation. Anneke ha deciso di far parte di una line-up notevole, questa volta senza l’aiuto dell’eminenza grigia Arjen Lucassen, per ritrovarsi in un combo che vede riuniti il batterista Ed Warby (Ayreon, Gorefest), Johan van Stratum (Stream of Passion) e i due axeman Jord Otto (ex-ReVamp) e Ferry Duijsens (già collaboratore di Anneke dal 2012).
Il risultato è un disco dalla produzione quadrata (merito del solito Joost van den Broek), con un artwork che esplicita subito il concept sotteso al platter, ma un livello qualitativo scostante, come vedremo. Le undici canzoni rimandano ognuna a una diversa metropoli (8 capitali) in 4 continenti diversi. Il tema centrale è il dualismo rusurbs, dibattito antico quanto il mondo, sempre attuale, tuttavia, a maggior ragione in tempi come i nostri, durante i quali si fa sempre più forte la spinta a un’urbanizzazione impetuosa (ma il futuro non doveva essere ecologico e a misura d’Uomo?). Anneke spezza una lancia a favore dell’aria dell’adagio Stadtluft macht frei, e la sua voce ci culla lungo un’ora di cosmopolite laudes urbium. Il quid del sound targato Vuur sta, d’altra parte, nell’accostamento tra la voce lieve e magnetica della Giersbergen (brava, però, anche a cambiare di ottava nel giro di poche battute) e le rasoiate delle 6-corde dall’accordatura abbassata, che si sposano alla perfezione con una sezione ritmica chirurgica.

L’opener da sette minuti è ambientato a Berlino e dà un primo assaggio dell’album. I ritmi non sono sostenuti, ma non manca la doppia cassa e le chitarre graffiano. Il refrain, invece, non spicca più di tanto e Anneke parte senza mostrare tutte le sue potenzialità. “Time – Rotterdam” attacca più diretta e smagata, con un giro di chitarra ruffiano e quadrato. Ottimo il break a metà brano con vocalizzi di Anneke (le parti dilatate del platter sono stupende), niente male anche l’assolo al sesto minuto. Questa seconda traccia in scaletta, tuttavia, è troppo “cupa” e avrebbe meritato una posizione meno in vista. Cambiando totalmente latitudine, “The Martyr And The Saint – Beirut” porta l’album su lidi più efficaci, non lontani dalle sonorità di casa Devin Townsend. La parte strumentale “spacca”, con la giusta potenza, e alcune accelerazioni improvvise, chapeau ad Anneke per gl’intrecci vocali che riesce a intessere. La 6-corde abrasiva all’avvio di “The Fire – San Francisco”, innerva un pezzo a tratti gothic, con momenti in cui pare di ascoltare l’ex-Vuur Marcela Bovio al microfono.
Il disco sembra iniziare a decollare e coinvolgere, ma con “Freedom – Rio” (città cui Andre Matos ha dedicato una canzone graffiante nel 2007) gli entusiasmi tornano a ridimensionarsi. Chiariamoci, tutto scorre piacevolmente, la forma canzone nella sua scolasticità è compatta, ma il ritornello è fin troppo prevedibile e non bastano inserti semiacustici per dare originalità al brano, che vorrebbe essere, come non bastasse, una sorta di title-track. Molto più ficcante la seguente “Days Go By – London”, una delle hit del platter: merita un 9 tondo, nessun dubbio in merito. Sono questi i Vuur che vorremmo ascoltare per l’ora intera del prossimo full-length. Trascinante anche l’inizio di “Sail Away – Santiago”, con un Ed Warby scatenato e in perfetta sintonia con le chitarre ritmiche. L’enclave sudamericana è la migliore del platter e anche “Valley Of Diamonds – Mexico City” non delude, proponendo quello che è forse il miglior assolo di Cities (ascoltare dal min. 4:25).
L’ultimo quarto d’ora vede un trittico ragguardevole, con tre capitali in sequenza: Helsinki, Istanbul e Parigi. “Your Glorious Light Will Shine” non spicca più di tanto in tracklist; regala qualche brivido, invece, “Save Me”, con un incipit araboide che strizza l’occhio a certi Blind Guardian. “Reunite!”, infine, è la song più corta del lotto, una dolce lullaby nei primi centoventi secondi (con Anneke più metafisica che mai), per esplodere nel prosieguo in un crescendo rinfrancante, degna chiusura del full-length.

Ad ascolto terminato non ci si può dire che contenti a metà. Luci e ombre, dunque, nell’opera prima dei Vuur, che restano indubbiamente una band dalle grandi potenzialità e un futuro tutto da scrivere. Al momento hanno creato un album (come già fatto in passato da altri gruppi) che tenta di racchiudere  la complementarietà junghiana tra maschile e femminile, rappresentabile (in ambito musicale) dall’accostamento delle chitarre elettriche alla voce muliebre di Anneke. Devono cercare, tuttavia, di guadagnare maggiore spessore e originalità, magari pensando a refrain meno similari e puntare su pezzi dal minutaggio leggermente inferiore e più diretti, cosa che sanno fare, basti riascoltare in questo senso l’ottima “Days Go By – London”. Detto ciò, aspettiamo gli olandesi il primo dicembre all’Estragon di Bologna, dal vivo potrebbero stupire più che in studio.

 

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

Ultimi album di Vuur