Recensione: Closer to Heaven

Di Stefano Ricetti - 12 Maggio 2016 - 12:30
Closer to Heaven
Band: Danger Zone
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2016
Nazione:
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75

A quattro anni dall’ultimo Undying giunge sul mercato, sotto l’egida della label tedesca Pride & Joy Music, il quarto lavoro ufficiale degli hard rocker Danger Zone. La seconda parte della loro carriera, di fatto, inizia nel 2011, dopo anni di oblio e per avere maggiori dettagli sui trascorsi dei bolognesi è sufficiente rileggersi la recensione di Line of Fire piuttosto che l’intervista, realizzata nello stesso anno e su questi stessi schermi a sfondo nero, con Roberto Priori, “Giga” Gigantelli e Paolo Palmieri.

Basti sapere che da un lustro a questa parte i Nostri stanno man mano mettendo a terra tutti i cavalli dei quali dispone il loro possente quadricilindrico… e non sono certo pochi, veicolati attraverso tre dischi di alto profilo. Closer to Heaven, questo il titolo dell’album oggetto della recensione, si dimena fra undici pezzi inediti, forti di una produzione valorizzante e si accompagna a un booklet di dodici pagine con tutti i tesi dei vari pezzi e alcune foto della band, sia in posa che alive durante le registrazioni.

La compattezza di un’idea che poi si trasforma in sogno e successivamente in band si misura dalla coesione e dall’unità di intenti. Molti act stranieri ultrablasonati e letteralmente adorati all’altezza delle latitudini italiche talvolta schierano in formazione un solo elemento fondatore, spesso attorniato da comprimari o peggio ancora da turnisti a chiamata ma, nonostante questo, quando suonano nelle nostre lande ci si accalca verso la prima fila spellandosi le mani alla fine di ogni brano. Niente di male, ci mancherebbe, va però anche valutata la misura di una fede nella musica dura nel momento in cui, come nel caso dei Danger Zone, ci si ritrova di fronte a ¾ dei musicisti che hanno rimesso in piedi “la baracca” qualche anno fa. Unica new entry, infatti, accanto ai senatori Roberto Priori (Chitarre), Giacomo “Giga” Gigantelli (Voce) e Paolo Palmieri (Batteria), il bassista Matteo Minghetti.        

Inizio alla classic-hard rock maniera per Turn It Up, pezzo apripista di classe sulla scia dei grandi hook confezionati dei Pretty Maids, a seguire il brano di punta di tutto il disco, per lo scriba: Go! (Closer to Heaven), che sa unire la vena ruffiana tipica di quegli anthem capaci, nella storia, di far ricondurre mentalmente al disco che li contiene. Avere all’interno della line-up Giacomo “Giga” Gigantelli, uno fra i migliori interpreti hard rock italiani di sempre e dal background con i controcolleoni è già di per se sinonimo di garanzia. Non va dimenticato, infatti, che il nostro ha attraversato, in passato e con successo, anche gli insidiosi territori defender lasciando il proprio segno tangibile, con gli Spitfire di Verona.  

Chitarroni a la Scorpions aprono Higher than High, episodio ove la melodia la fa da padrona mentre in I’m All In il ritmo si alza permettendo al singer di forzare un poco di più, destreggiandosi fra le sferzate della sei corde di Priori e le tastiere dello special guest Pier Mazzini (Silverlady, Witchunters). Mai come in questo caso i Dangerz Zone si sovrappongono pressoché totalmente agli illustri  colleghi danesi  Pretty Maids.

Here Where I Belong possiede il sapore dei brani hard rock griffati anni Ottanta, quelli con le Chevrolet  lungo le strade impolverate della California e le biondone in minigonna e tacchi a spillo che attendono, magicamente, di essere caricate alla pompa di benzina in mezzo al deserto. Linee melodiche azzeccatissime da parte dei bolognesi, manco a dirlo…   

Ottimi i tempi dettati dalla chitarra di Roberto Priori a sorreggere l’impianto sulla falsariga dei Dokken di I Love Crazy , impreziosita da tastiere di marca italiana (leggasi Mazzini) in sottofondo. L’urgenza hard dei ‘Danger esplode  lungo le note di All for You, traccia che non avrebbe affatto sfigurato in qualità di pezzo melodico su di un album degli inossidabili defender britannici Saxon.

T’night, che perde per un nonnulla il primo posto sul podio come earworm di Closer to Heaven nei confronti di Go! consta di un ritornello che avrebbe fatto comodo avere in cascina ad altri ultraosannati ensemble   d’oltrefrontiera, di quelli che non si devono sbattere per trovarsi un’etichetta a ogni nuovo album.                  

Human Contact è 100% Danger Zone mentre Not That Lonely riporta alla veemenza degli Skanners in ambito più propriamente hard e si chiude con la vanhaleniana Hard Rock Paradise, episodio arioso che rimanda ai spensierati anni Ottanta, pieni di sogni e ancora tante certezze, impreziosito dalle tastiere di un altro ospite d’eccezione: Michele Luppi dei Whitesnake.

Closer to Heaven si compone di una colonna vertebrale di pezzi tutti curati nei minimi particolari, degni figli di una band che è in giro da tanto tempo e che, probabilmente, si rifiuta anche solo mentalmente di scrivere un filler tanto per far volume. Una volta, quando ancora esisteva su tonalità fortissime il mito del sogno americano, si scriveva “Il tipico disco da gustarsi sulle infinite freeway yankee baciate dal sole con in sottofondo il ruggito robusto di un sei cilindri”. Oggi, più verosimilmente e con un po’ di fantasia, l’album può essere semplicemente apprezzato in coda a Borgo Panigale così come sui tornanti alpini del Nord Italia.  

Nella scala dell’intensità dei sentimenti, per lo scrivente, Line of Fire rimane saldamente il manifesto musicale dei Danger Zone, anche se quest’ultimo Closer to Heaven gioca le proprie carte al meglio, collocandosi a metà fra il sound iperclassico dei bolognesi e quella linea di ponte ideale che permette a nostri di non suonare mai datati.     

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

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