Recensione: Clouds

Di Marco Sanco - 30 Novembre 2009 - 0:00
Clouds
Band: Tiamat
Etichetta:
Genere:
Anno: 1992
Nazione:
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97

E’ doveroso iniziare con delle considerazioni preliminari prima di introdurre questo disco. Innanzitutto, due parole per i Treblinka, precedenti ai Tiamat e sempre fondati da J. Edlund, padre e padrone di entrambe queste realtà. La seminalità dei primi due lavori dei Tiamat (“Sumerian Cry” e “The Astral Sleep”) altro non è l’evoluzione del percorso iniziato coi Treblinka, la band più particolare e sperimentale, ma anche tra le più grezze e ruvide, del panorama dello Swedish degli albori. Grazie a ciò, i Tiamat hanno saputo così poi spaziare genialmente in un territorio vasto, sapendo unire nelle vene delle loro prime fatiche elementi che richiamano (e uniscono) i primi Entombed, i primi Obituary e che affondano, però, le radici anche in quel territorio oscuro e acido che erano i primi Bathory. Il secondo aspetto da introdurre poi sono i nomi di altre band importanti, che con i Tiamat hanno un preciso aspetto in comune: i Therion, i Katatonia e i Sentenced. L’aspetto in questione è che queste band hanno una carriera spezzata in due. Tutte, nella prima parte, facevano un genere dal quale poi si distaccano completamente, andandone del tutto lontano, ma sapendo comunque rimanere ai vertici nel loro ambito.
Clouds” è il terzo capolavoro dei Tiamat e io lo considero il loro disco di consacrazione, perché per quel che concerne il loro periodo Death/Doom è la loro opera più matura e curata, dove meglio si coniugano gli standard del genere e la profonda vena sperimentale di Edlund e compagni.

In a Dream” apre il disco con le sue atmosfere oniriche. Un classico stile Doom è supportato da un possente coro maschile nel chorus (elemento tra quelli portanti nell’intera opera), conferendo alla canzone una notevole spina dorsale, al quale si unisce una parte veloce con solo di scuola tipicamente Swedish, a denotare le origini dei musicisti.
Clouds” anticipa fortemente le tendenze goth dei Tiamat. Anche qui il coro maschile supporta in possanza le fluide parti melodiche, ma sicuramente parliamo del brano forse più “sbarazzino” dell’opera, dal quale già s’evince il tentativo di apportare qualcosa di totalmente nuovo in un genere che di contrasto ha dei canoni ben precisi.
Smell of Incense” ci riporta invece alla colonna portante di “Clouds”, un Doom unito con raffinatezza alla ritmica “deatheggiante” dell’epoca.
Una delle song con cui vengono maggiormente precorsi i tempi in quel lontano ’92 è anche uno dei componimenti più oscuri ed evocativi di Edlund. Opeth e Draconian attingono a piene mani dalle pause atmosferiche di “A Caress of Stars” e da un repertorio come questo. Ma è solo l’anticipazione allo zenith compositivo di “Clouds”. Coloro che ascoltavano Doom nei lontani (ormai) iniziali anni ’90 a questo punto si ritrovarono di fronte ad un masterpiece come “The Sleeping Beauty”. In essa si fondono con precisione e raffinatezza tutte le caratteristiche del Death/Doom dell’epoca: tastiere evocative e melodiche, cambi di ritmo improvvisi ed accelerati, cori massicci e potenti che rafforzano il senso delle parole cantate e che diventano il vero marchio compositivo del full-length.
Per descrivere la successiva “Forever Burning Flames” credo in tutta coscienza che meglio di così non potrei dire: i moderni Katatonia e Opeth provengono da questa canzone qui. Se qualcuno avesse idee migliori, non ha che da dirle (i commenti ci sono apposta e le recensioni hanno anche questo scopo).
Pur mantenendosi nei confini del disco, “The Scapegoat” è più ritmata rispetto alle sue altre sorelle. Ovviamente, il brano più lungo giunge alla fine. Non a caso, perché ci vuole un po’ prima che “Undressed” vi entri dentro, ma ascoltandola più volte non potrete che amarla. Difficilmente altrove troverete un arrangiamento così raffinato, elegante ed allo stesso tempo oscuro e malinconico, che apre le porte all’ignoto.

Non è semplice per me parlare dei Tiamat, perché sono nel novero delle band che mi hanno più notevolmente influenzato. In casi come questi l’obiettività tende a scemare. Ad ogni modo, va segnalato che di fan nella loro lunga carriera i Tiamat ne hanno persi parecchi. Conosco di persona gente che ancora non ha mandato giù la svolta goth della band, come ce ne sono pure di quelli che vorrebbero far finta di dimenticare che Edlund e soci sono nel novero del death degli albori crudo e seminale, come musicisti. Di fan sicuramente nella loro evoluzione va detto che ne hanno guadagnati tanti di nuovi. E’ un pubblico forse meno maturo, ma credo che col tempo potrà crescere, andando a scoprire i tesori del passato. Noi per ora limitiamoci a segnalare “Clouds” per ciò che è, ovvero uno dei masterpiece fondamentali per coloro che masticano di Doom di vecchia scuola. Con “Clouds” i Tiamat, a vederla oggi, danno il loro contributo ad aprire la strada a nuove generazioni di musicisti metal, e personalmente ritengo che sia qualcosa che non ha prezzo. Buon ascolto.

Marco “Dragar” Sanco

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Tracklist:

1.    In A Dream
2.    Clouds
3.    Smell Of Incense
4.    A Caress Of Stars
5.    The Sleeping Beauty
6.    Forever Burning Flames
7.    The Scapegoat
8.    Undressed     
 

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