Recensione: CLX Stormy Quibblings

Di Daniele D'Adamo - 26 Novembre 2013 - 0:01
CLX Stormy Quibblings
Band: Agony Face
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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74

 

Con “CLX Stormy Quibblings”, concept-album che segue “CXVIII Monolithic Squeakings”, debutto pur’esso alimentato da un unico tema portante, i milanesi Agony Face proseguono un discorso musicale cominciato nel 2004 e denominato da essi stessi ‘surrealistic death metal’.
 
Metal estremo, in sintesi, comprendente una molteplicità d’influenze provenienti da altri generi, legate da un comune denominatore artistico nonché filosofico avente la follia come lievito fecondante. Numerosi, quindi, gli act di riferimento dei Nostri, fra cui la vecchia guardia del death metal come Death, Cynic, Nocturnus, Atheist e Pestilence, miscelata alla nuova ondata composta da gente come Augury, The Faceless e Decrepith Birth. Tenendo ben presente che la base inamovibile dello stile degli Agony Face fonda le sue radici sino agli anni ’70 per comprendere i leggendari complessi dell’altrettanto leggendario progressive rock italiano: Premiata Forneria Marconi e Banco del Mutuo Soccorso su tutti.
    
Nonostante tale poliedrica anzi caleidoscopica commistione di fogge e band, i meneghini riescono, si potrebbe dire ‘incredibilmente’, a mettere a fuoco una propria identità stilistica; riuscendo cioè a non sfilacciare una costruzione musicale estremamente complessa, multiforme e accidentata. Benché siano parecchi i momenti in cui essi ‘divergano’ in direzione della citata ‘follia’ artistica, lo scheletro di “CLX Stormy Quibblings” si mostra dannatamente solido. Anche perché, alla fine, il death metal è la parte sostanziale che si ritrova con maggiore ciclicità in tutto il lavoro. Ciascun brano dell’album è, di per sé, una suite in cui i tanti colori che plasmano il sound dei lombardi si rincorrono, si sovrappongono, si mischiano, s’intersecano. Non mancando mai di imprimere, sulla tela, un fondo massiccio e roccioso, spesso marcato da segni di assoluta aggressività (“XVII – Golden Waterfalls Part VI”); incisi soprattutto dalle durissime, acide e graffianti vocals di Davide Guarinoni, e dal drumming poderoso di Alessandro Bassi, mai timoroso di spingersi nei vulcanici territori ove regnano i blast-beats. L’altro tasso di tecnica posseduto pure dai due chitarristi e dal bassista, in ogni caso, consente agli Agony Face di fare ‘quel che vogliono’, potendo esprimere con un’esecuzione priva di difetti le tante, tantissime idee che ronzano nella mente dei cinque.  

È chiaro che la filosofia artistica fondante il progetto, tendente a fuggire dalle facili soluzioni armoniche, e la bravura tecnico/artistica dei membri, impegnati a sviscerare in maniera totalmente intellegibile – così come fanno – la marea di note che copre le loro menti, ben difficilmente conduce a delle composizioni lineari e immediate. Al contrario, come ci si poteva aspettare da questa premessa, occorre spendere davvero tanto tempo per ‘accordarsi’ alle nove song del platter. Forse troppo, poiché alla fin fine il rischio è sempre quello: sconfinare nel tedio. Gli Agony Face, per loro fortuna, evitano questa trappola, anche se non per molto. L’avvicendare momenti eterei e sfumati a tremende sfuriate o meglio… bastonate sui denti, non sempre conduce a un risultato sorprendente, determinando così un po’ di prevedibilità. Prevedibilità che non sembra dar segno di sé quando entra in campo la melodia, a onor del vero assai raramente. L’opener “XVI – The Sublimation” e la successiva “XVIII – Into The Keyhole”, allora, potrebbero raffigurare l’ideale compromesso fra progressività, apparente caoticità e musicalità. Musicalità accattivante, insomma, ben lontana da stucchevoli mielosità e ampollosità ma sufficiente a catturare l’attenzione di tutti. Sia degli ascoltatori più esperti, sia di quelli meno smaliziati.         

Comunque sia ce ne fossero, di formazioni come gli Agony Face, a movimentare e a metterci il cuore in un genere, il (progressive) death metal, spesso incancrenito su cliché triti e ritriti forgiati dalla sola tecnica, ahimé spesso senz’anima.
   
Daniele “dani66” D’Adamo
 

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