Recensione: Cold Redrafted

Di Francesco "Caleb" Papaleo - 6 Luglio 2016 - 18:43
Cold Redrafted
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2016
Nazione:
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78

Ci sono ascolti che non bastano mai a loro stessi, che vorremmo non si esaurissero mai.
Ci sono volte in cui la musica diventa un reagente emotivo che attraversa, penetrandola, la pelle. Passa attraverso i pori, scorre in ogni parte di te, si mescola ai fluidi corporei, invadendo, e, infine, completamente assuefacendo, il cuore.
Una strana e sofisticata alchimia di suoni e sensazioni, buona per i momenti di solitudine, per i viaggi ad occhi aperti, per farsi trasportare chissà dove. Per perdersi in chissà quale tempo.

Un viaggio.
I grandi album sono sempre un viaggio.
Più o meno lungo, semplice o ripido, accidentato, spensierato, faticoso, di scopo oppure mistico. 
Sempre, e comunque, un’esperienza da fare che, se da un lato impegna attivamente l’attenzione, dall’altro fa dono di qualcosa di personale. Un’esperienza che rimarrà per tanto tempo sospesa tra quelle che si ricorderanno.
“Cold Redrafted” è questo viaggio, strettamente parlando di atmosfere.
O, meglio, quello che è il suo proseguo. Quello che è iniziato con un’altra band, in un altro tempo, e dall’altra parte del mondo, rispetto ai Negative Voice: in America, con gli Agalloch di “Ashes Against the Grain”. Due mondi diversi ma, incredibilmente, lo stesso filo emozionale che li lega. 

Le due band, probabilmente, non si conosceranno nemmeno, e per molti versi la loro carriera artistica non potrebbe essere più agli antipodi, anche per le influenze culturali e temporali totalmente differenti. 
I Negative Voice sono russi, provengono da Mosca e, al tempo in cui “Ashes Against the Grain” venne pubblicato (il 2006), pur essendosi già formati non avevano ancora pubblicato nulla. Il loro debutto, infatti, avverrà solo nel 2010, attraverso un oscuro EP autoprodotto rimasto senza nome a cui seguirà, nel 2013, il loro primo disco “Infinite Dissonance” prodotto dalla Inverse Records. Un album, quest’ultimo, molto più “quadrato” e incentrato sul doom metal, anche se con chiare tracce di contaminazioni che ne impreziosivano le composizioni.

Tracce che, invece, in questo loro “Cold Redrafted” sono diventate ormai un marchio di fabbrica che contribuisce a dar vita ad otto gioielli di straordinaria fattura, uno più prezioso dell’altro. Forse non potranno dirsi di qualcosa di mai ascoltato perché, appunto, gli Agalloch stessi ci avevano già pensato 10 anni fa (ed è anche per questo che penso le due band siano in comunione), ma il risultato è comunque di altissima qualità. 
Tanti frammenti di influenze tra le più disparate, quelli che si possono rintracciare lungo tutta la tracklist, cui comunque si è riusciti a trovare una sintesi perfetta. 

Tutte le canzoni proposte dai Negative Voice, infatti, sono un groviglio inestricabile di generi musicali, chiaramente percepibili, ma che non possono essere classificati a priori, perché proposti in un caleidoscopio vorticoso che ne cambia i connotati ogni secondo. 
Ne prenderemo comunque tre, tra i più distinguibili, per puro riferimento: il doom, il black e il prog. 
Occorre però ribadire che si parla solo di indicazioni di massima, a puro scopo orientativo, e che, pena lo sminuire una tale bellissima creatura, non possono, e non devono essere, considerate come assoluta ortodossia. Anche perché c’è tanto da esplorare e tanto da viaggiare, accompagnati da questo disco, e tentare di recluderlo in un recinto di genere è, semplicemente, un errore grossolano.

C’è talmente tanto, che risulta difficoltoso separarlo e analizzarlo.
Ci sono passaggi melodici, seppur investiti da una sensazione di gelo, tipica, ad esempio, dei Woods of Ypres del mai troppo compianto David Gold (“City of Decaying Gaze”).
Ci sono pure, di contro, momenti di pure accelerazioni accompagnate da tremolo picking e scream ferali, seppur estremamente melodici, tipici del black metal (“Nightmare Everlasting”).
Ci sono passaggi strumentali rallentati, estremamente atmosferici e accompagnati da un basso compatissimo in stile doom (“Instant” e “Karmic Pattern”).
Ci sono canzoni dal gusto prettamente progressive e che strizzano l’occhio agli Opeth di “Deliverance” (“Lighthouse” e “Impasse”) o a certe memorie del passato, come i Katatonia di “Discouraged Ones” (“Draft Life”).
C’è, sopra ogni cosa, una dose gigantesca di passione, sentimento e sofferenza in quello che questi ragazzi suonano. Ogni miglio del viaggio sonoro che si è intrapreso, ascoltando questa band, ne trasuda: niente viene lasciato al caso.

La qualità finale, quindi, è inutile dirlo, si attesta su livelli alti. Oltretutto facendo in modo che si rimanga stupiti dalla corposità dei brani, che, pur nella loro già citata complessità, riescono sempre ad essere freschi, mai monotoni, assolutamente godibili. Perché, comunque, incredibile a dirsi, ma parliamo di un disco di appena 46 minuti circa. Niente di così mastodontico, a differenza di quanto si potrebbe pensare.

Chi ama le contaminazioni derivate dalle più disparate influenze, quindi, dovrebbe ascoltare “Cold Redrafted”.
Tutto il meglio che queste possono portare, i Negative Voice sono riusciti ad esprimere ad esprimerle in maniera eccellente, di più: l’hanno fatto riproponendole in una maniera estremamente personale e affascinante.
Spiace solo che, purtroppo, ci siano band di tale spessore dai più ignorate, mentre altre, che non fanno altro che riverberare in maniera diversa e più comune (per essere gentili), cose fatte da altri, godono di maggiore attenzione. 
Anche questo, però, fa parte del gioco: bisogna avere i mezzi necessari per farsi conoscere, indubbiamente. Tuttavia sono convinto del fatto che, grazie al talento, prima o poi si riesca a farsi notare. O forse sarò ingenuo nel pensarlo, non saprei.
In ogni caso spero che sia il caso dei Negative Voice. Perché meritano assolutamente per quanto sono riusciti a fare in questo bellissimo disco.

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