Recensione: Colder

Di Daniele D'Adamo - 27 Marzo 2016 - 0:01
Colder
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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75

Freddo, freddo e ancora freddo.

È questo ciò che tiene in piedi i Life’s December, band svizzera che ha fatto del freddo, appunto, il leit motiv della propria esistenza artistica. Freddo nei testi, freddo nella musica.

Emblema di ciò, “Colder”, debut-album nonché unica produzione discografica partorita in cinque anni di esistenza dal quintetto di Wattwil. Fattispecie, questa, che non lo esime dall’essere in grado di proporre, al contrario, un deathcore dallo spessore tecnico/artistico inversamente proporzionale a quello del proprio curriculum vitæ. “Colder”, difatti, ha un sound maturo e adulto, perfettamente formato in ogni particolare, che regala all’ascoltatore una sensazione opposta a quella d’incompiutezza che si prova, spesso, di fronte a un’Opera Prima.

Così, i Life’s December si rivelano, pur giovani, perfetti interpreti degli stilemi che reggono il deathcore. Ovviamente i breakdown, per prima cosa. Cioè, i micidiali stop’n’go che, più di tutto, caratterizzano questa speciale derivazione death ove imperano i suoni secchi, taglienti, metallici. Ma anche la potenza di spinta e la pulizia delle traiettorie, che s’incanalano nell’erculea energia esplosiva dell’andatura on/off chiamata, per l’appunto, breakdown. 

La ruvidezza delle harsh vocals, la potenza dei riff a segaossa delle chitarre, la brutalità del ritmo dettato da basso e batteria, poi, possono essere addolcite dalla melodia, nel deathcore. In misura minore rispetto a quanto avviene nel metalcore, in linea generale, ma senza che ci sia una precisa regola in materia.

Life’s December scelgono, in “Colder”, la classica via di mezzo. Sino a “Interludium”, che funge così da linea di discrimine, le song sono dure, cattive, cupe, ossessive. Dopo, da “Snow Falls Silently”, esplode invece una componente armonica assolutamente di gran classe. Soprattutto in “My Existence”, stupenda canzone dal mood infinitamente melanconico, struggente. Possente, sì, ma allo stesso tempo dal flavour dolcemente intimista, vagamente e morbidamente visionario. Le mazzate sulla schiena degli stop’n’go ci sono sempre, questo sì, ma lo strazio esistenziale che sprizza da ogni poro della song rende memorabile il brano stesso. Perché è così che il deathcore riesce a esprimere al 100% la propria potenzialità emotiva che, assieme all’immensa monoliticità del suono, determina la caratteristica peculiare, nobile, del genere medesimo.

Ardimento e delicatezza. Gagliardia e dolcezza. Mirabile antitesi che il quintetto del San Gallo riesce a metter già con semplicità e naturalezza, in “Snow Falls Silently”, “Colder” e “Hero Missing”, oltre alla già citata “My Existence”. La profondità del sound, allora, diventa abissale. Scende chilometri, nell’anima, a sondare le più recondite aree nascoste, ove non giunge mai la luce del sole, ove fa paura ciò che si nasconde nell’ombra. Ciò che avvelena anche gli spiriti puri, ciò che deforma la psiche, ciò che s’identifica come il male.

Così su due piedi è impossibile comprendere se la summenzionata dicotomia sia stata intenzionalmente voluta, oppure rappresenti, ancora, un elemento d’immaturità dei Life’s December. Certo è che l’eccelso livello di scrittura della seconda parte di “Colder” bilancia il velato senso di anonimato che ne pervade la prima; portando il full-length a raggiungere un giudizio complessivo decisamente lusinghiero. 

Daniele D’Adamo

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