Recensione: Colliding Skies

Di Lorenzo Maresca - 12 Giugno 2015 - 10:00
Colliding Skies
Band: Chaos Divine
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2015
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
79

Potrebbe essere finalmente arrivato il momento per i Chaos Divine di guadagnarsi una maggiore visibilità all’interno dello sterminato panorama rock e metal odierno. I cinque ragazzi australiani hanno già ottenuto qualche riscontro positivo in circa dieci anni di attività; grazie a due album e un EP, hanno condiviso il palco con artisti noti, ma alla fine il loro nome non è mai circolato più di tanto. Con una breve ricerca ci si accorge, poi, che nei siti italiani sono quasi del tutto assenti, almeno fino a oggi. Il terzo full-lenght, Colliding Skies, presenta invece il potenziale per allargare il pubblico della band, in virtù di un songwriting non solo moderno e ispirato, ma anche più maturo rispetto a quello dei lavori precedenti.

Al primo ascolto i Chaos Divine sembrano riconducibili al progressive metal più recente, ma basta un po’ di attenzione per cogliere le diverse influenze sonore presenti nel loro sound: se da un lato, infatti, il quintetto di Perth non inventa nulla di nuovo, dall’altro ha il merito di costruire il proprio stile amalgamando tutte le sue fonti di ispirazione con coerenza e buon gusto. L’articolato lavoro delle chitarre di Ryan Felton e Simon Mitchell è il fulcro di un sound piuttosto omogeneo, che si avvicina all’alternative (e più nello specifico ai connazionali Karnivool), con una strizzata d’occhio al death metal. Emergono qua e là anche influenze legate a nomi importanti come Dream Theater e Porcupine Tree. Si potrebbe parlare, inoltre, di djent considerato che in più di un’occasione ascoltiamo i due chitarristi avventurarsi nel registro grave, senza tuttavia abusare della settima corda suonata a vuoto; consideriamola quindi un’influenza come le altre, piuttosto che un tentativo di cavalcare la moda del momento. A questo proposito va senz’altro citata per i suoi riff massicci “Landmines”, l’imponente brano d’apertura. La maggior parte delle volte, però, veniamo circondati da melodie di largo respiro e da un muro sonoro che cerca di coprire più frequenze possibili, merito anche di discrete sovraincisioni di tastiera a opera di Felton. Il risultato è una musica aperta e luminosa, ed è proprio qui che la band trova il suo punto di forza, riservando di conseguenza al growl e agli elementi death qualche comparsa sporadica (ad eccezione di “Painted With Grey”, forse la più violenta del lotto).
Se il disco è partito con il piede giusto è attorno alla metà della tracklist che raggiunge i suoi risultati più felici: “Soldiers” e “Symbiotic”. Difficile non lodare ora il lavoro di David Anderton, capace con le sue linee vocali di portare i pezzi a un livello superiore, dimostrando sempre sensibilità e finezza nei ritornelli. Ad aiutarlo c’è una sezione ritmica vivace, interessata soprattutto a curare le progressioni di accordi, seppur non rinunci mai ai riff svelti e intricati. Ottima anche la successiva “Tides”, ancor più incentrata sulla melodia.
L’album prosegue grossomodo con la stessa formula nell’ultima parte, appena meno riuscita della precedente, chiudendo con “With Nothing We Depart”, brano più rilassato e arricchito da un assolo di un sassofono. Un ultimo apprezzamento va all’artwork, anche questo realizzato da Ryan Felton.

Tirando le somme, i Chaos Divine ci consegnano un disco ben scritto, ben suonato e molto scorrevole per il genere cui appartiene (il che non significa commerciale, ricordiamolo). Va specificato che la band dovrebbe fare un ulteriore passo avanti per personalizzare la sua proposta musicale, ma allo stesso tempo il gusto dimostrato in questo lavoro non passa certo inosservato. Due fattori che creano non pochi problemi quando si deve valutare un album. Terremo quindi d’occhio i Chaos Divine e vedremo se con la prossima uscita sapranno superarsi, nel frattempo godiamoci questa piacevole sorpresa.

 

Ultimi album di Chaos Divine