Recensione: Communion

Di Davide Iori - 2 Aprile 2008 - 0:00
Communion
Band: Septicflesh
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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77

Dopo 5 anni di silenzio i Septic Flesh tornano sulle scene con un monicker in versione parola unica (Septicflesh) ed un album che non riparte da dove essi si erano fermati con Sumerian Daemons, ma fa un deciso passo avanti, lasciando le lande del gothic visto dal versante black metal per avvicinarsi ad esso attraverso la via del death sia brutale che melodico, come avremo modo di vedere. Da gruppo con il pelo quale essi sono i nostri non si accontentano di niente di meno di una produzione assolutamente sopra la media e del supporto di un’intera orchestra sinfonica e di un coro da oltre trenta elementi. Nonostante ascoltando con attenzione ci si possa poi accorgere che non tutti i pezzi dell’album si avvalgono degli arrangiamenti orchestrali, cosa indubbiamente dovuta al fatto che i soldi non sono mai infiniti e soprattutto nel metal bisogna saper scendere a compromessi, non si può fare a meno di ammettere che i greci hanno realizzato un ritorno in grande stile sia dal punto di vista della produzione che da quello prettamente musicale.

La musica, ecco la parte importante: i Septicflesh si sono sempre caratterizzati per la realizzazione di composizioni solenni ed oscure, che molto dovevano alle atmosfere da film horror ed all’interpretazione in musica dei rituali di antiche civiltà (Sumeri, Assiri, Romani… Egizi…) che altri gruppi avevano già realizzato, ma in questo Communion i nostri raggiungono un nuovo livello, innalzandosi a vette di diabolicità e potenza espressiva che non temono il confronto con i mostri sacri del genere. Lovecraft’s Death è un capolavoro da cui lasciarsi travolgere, meglio se ascoltato su impianti di potenza considerevole in modo da apprezzare appieno gli arrangiamenti sinfonici, i quali vanno a creare un totale armonico con chitarra basso e batteria, non andando a snaturare le composizioni, ma piuttosto diventando una parte integrante di esse o forse addirittura la componente principale. La bravura compositiva dei nostri si mostra in tutta la sua grandezza nella seguente Annubis, pezzo nel quale le voci pulite prendono il sopravvento nel ritornello, facendo venir voglia di alzare le mani al cielo e di gioire di fronte al trionfo degli dei pagani. Cori oceanici e totale rifiuto dell’utilizzo dell’accoppiata tremolo/blastbeat di matrice black sono la cifra di questo album, il quale dunque va a collocarsi in quella nicchia che i più riconoscono come propria dei Nile di Annihilation of the Wicked o dei Behemoth di The Apostasy, ma a onor del vero c’è da fare immediatamente due distinguo importanti: innanzi tutto in questo platter è l’atmosfera a farla da padrone, anche andando a scapito dell’aggressività dura e pura, ed in secondo luogo le considerazioni finora fatte valgono solo per la prima parte dell’album.

Si giunge al giro di boa quando comincia Sunlight Moonlight, pezzo che stupisce immediatamente l’ascoltatore in quanto, se la produzione non fosse la medesima e la voce sempre quella, quasi non si stenterebbe a riconoscerlo come facente parte del medesimo album delle tracce sentite in precedenza. A parte la scomparsa degli arrangiamenti sinfonici e la posizione di predominanza sempre maggiore che si ritaglia il cantato pulito infatti ci si trova davanti ad un pezzo praticamente Melodic Death e pure, dispiace dirlo, di qualità non eccelsa. Da quel momento in poi l’album comincia inesorabilmente a calare, mantenendosi su livelli ampiamente sopra la sufficienza, ma non riuscendo a confermare quanto espresso nei primi 3 o 4 pezzi.

Che dire dunque? Sarebbe sbagliato imputare il voto solamente buono che potete leggere più in basso ad un “secondo tempo” fiacco del nostro film horror preferito. Il fatto è che una volta che si comincia ad ascoltare Communion per 3, 4, 5 volte ci si accorge gradatamente che molto del nostro iniziale stupore e meraviglia era legato ad arrangiamenti di pregio ed ad una registrazione di qualità quantomai pregiata, quando però i pezzi, anche i migliori, presto o tardi cominciano a mostrare qualche lacuna compositiva. Questo naturalmente non intacca completamente il giudizio complessivo, ma fa si che davvero non si possa dire che i Septicflesh abbiano imbroccato il capolavoro della vita o comunque anche solo un disco che continueremo ad ascoltare per mesi ed anni.

Tracklist:

1. Lovecraft’s Death 04:08 
2. Anubis 04:18 
3. Communion 03:25 
4. Babel’s Gate 02:58 
5. We The Gods 03:50 
6. Sunlight Moonlight 04:09 
7. Persepolis 06:09 
8. Sangreal 05:17 
9. Narcissus 03:59

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